Per celebrare i 40 anni dall’inizio dell’era del Gruppo C nel Mondiale Endurance, al Porsche Experience Center di Lipsia la casa tedesca ha riunito alcuni tra i piloti che hanno contribuito a scrivere la storia della categoria al volante delle Porsche 956/962, autentiche regine del Gruppo C. A disposizione di Derek Bell, Jochen Mass, Hans-Joachim Stuck e Bernd Schneider, alcuni di questi prototipi perfettamente funzionanti, grazie alle cure del team Historic Motorsport del dipartimento Porsche Heritage and Museum e del coordinatore Armin Burger, ed i campioni non si sono certo fatti pregare per lanciarli nuovamente sulla pista tedesca di 3,7 km.
Alla reunion hanno partecipato anche il collaudatore dell’epoca Helmut Schmid e Norbert Singer, capo del progetto e metaforico padre della leggendaria biposto, oltre a Timo Bernhard, vincitore di Le Mans nel 2010 e 2017 con AUDI e due volte vincitore del Campionato del Mondo Endurance con Porsche. Derek Bell ora ha 81 anni, ma il longilineo pilota inglese scivola all’interno della "sua" Porsche 956 con l’eleganza e la disinvoltura di sempre. Eppure, mentre 40 anni fa sembrava che stesse semplicemente facendo il suo lavoro, oggi ammette: "Allora abbiamo lavorato come matti".
Tra le auto a disposizione di Bell ed i suoi colleghi, la 956 con telaio #002, vincitrice della 24 Ore di Le Mans 1982 con il numero di telaio 956-002, la 956 con telaio #005, che vinse, tra gli altri trionfi, le 1000 Km del Nürburgring e di Spa. Questa vettura è stata completamente restaurata dal Museo Porsche ed è tornata alla sua livrea del 1983. Presenti anche la 962 con specifiche IMSA del 1984, che ottenne la pole position a Daytona, e la 962 C che vinse la Supercoppa nel 1987, entrambe riportate al loro splendore originale. Accanto a loro faceva bella mostra la 962 C #17 vincitrice di Le Mans 1987 e la 962 con telaio #015 del team Joest, la più giovane rappresentante del Gruppo C, quarta classificata a Le Mans 1990.
“La 956 è l'auto da corsa di maggior successo nella storia di Porsche, restando vincente per 12 anni incredibili", ha esordito Timo Bernhard. La 956 è stata imbattuta a Le Mans dal 1982 al 1985, passando poi il testimone all’evoluzione della specie, la 962 C, che ha conquistato il primo posto nella 24 ore del Circuit de la Sarthe nel 1986 e nel 1987. L'elenco dei successi della vettura è davvero impressionante: cinque titoli costruttori e squadre, 43 vittorie individuali alle gare WEC, cinque titoli piloti WEC, sette vittorie assolute alla 24 Ore di Le Mans (dal 1982 al 1987 con la 956 e 962 e con la 962 Dauer Le Mans GT nel 1994), quattro titoli IMSA, 52 vittorie individuali nelle gare IMSA e cinque vittorie alla 24 Ore di Daytona.
“Learning by doing”
Il successo ottenuto dal reparto corse Porsche nel programma Gruppo C è stato il risultato di una filosofia di lavoro sintetizzata con lo slogan "learning by doing": imparare facendo. Che si potrebbe coniugare in “facendo di necessità virtù’”, dato che non c’erano conoscenze della nuova categoria, grazie anche alla proverbiale disciplina tedesca. Infatti, la sfida dell'epoca era costruire, a tempo di record, un veicolo nuovo e potente ma allo stesso tempo a basso consumo. Per la prima volta in Porsche fu istituito un dipartimento principale separato per gli sport motoristici per affrontare l’impegnativo compito. Norbert Singer fece costruire per la prima volta un modello in legno in scala 1:5, lo mostrò a Ferry Porsche che dopo una rapida occhiata esclamò laconicamente “ti auguro buona fortuna”. “Per lui era solo un'altra macchina da corsa. Ne aveva viste tante nel corso degli anni. Nessuno sapeva in quel momento cosa sarebbe successo con quell’auto. Se avrebbe avuto successo o meno", racconta il progettista tedesco.
Il team è quindi andato nella galleria del vento per sviluppare un concetto aerodinamico che sfruttando un grande carico aerodinamico potesse "attaccare" l'auto al suolo, un concetto che oggi conosciamo molto bene come "effetto suolo".
Un'altra novità per gli ingegneri ha riguardato la monoscocca completamente in alluminio. “Non avevamo idea di come costruire monoscocche – spiega Singer -, perciò abbiamo chiesto aiuto al produttore di aeromobili Dornier. Abbiamo costruito varie scatole e alla fine siamo arrivati ad avere una monoscocca. Peraltro, avevamo anche pensato di realizzare una monoscocca in carbonio nel 1982. All’epoca i materiali sintetici stavano cominciando ad emergere in Formula 1, ma il nostro team era troppo piccolo per pensare di poter sviluppare contemporaneamente una monoscocca in alluminio e una monoscocca in carbonio”.
Anche Derek Bell come all’epoca ci fossero tanti interrogativi ma anche una grande fiducia all’interno del reparto corse di Weissach: “Dopo la vittoria di Le Mans 1981, con Jacky Ickx al volante della Porsche 936, fui invitato in fabbrica dal responsabile dello sviluppo Helmuth Bott per parlare a proposito del futuro. Bott mi disse che l’anno successivo avremmo iniziato l’impegno nel Gruppo C, del quale io non avevo idea di cosa fosse. Proseguendo ad illustrarmi il programma specificò che la vettura avrebbe avuto un telaio monoscocca e sfruttato l’effetto suolo, due soluzioni che l’azienda non aveva mai fatto prima. Ma aggiunse: non ci siamo mai sbagliati!”
Per il propulsore, Singer scelse il boxer a sei cilindri della Porsche 935/76, una versione potenziata del motore 911 per le corse. Grazie a due turbocompressori, non era solo più potente, ma anche ottimizzato in termini di consumo di carburante. La scuderia fu obbligata a lavorare in condizioni di estrema pressione di tempo: la versione finale del regolamento del Gruppo C fu deliberata solo nell'ottobre 1981, quando la stagione 1982 sarebbe partita già all’inizio dell’anno. Due delle tre vetture ufficiali furono terminate solo due settimane prima della gara di Le Mans.
Sebbene il tempo a disposizione fosse poco tutto il programma subì una forte accelerazione perché era scontato che, anche alla luce delle tante innovazioni tecniche sulla nuova vettura, i test sarebbero stati cruciali per arrivare pronti alle gare. Infatti, già nel mese di gennaio 1982 Derek Bell ebbe modo di collaudare un primo prototipo della 956 a Le Castellet. Ecco come ricorda quella giornata: “E' stato fantastico. La macchina era perfetta. Era incredibilmente veloce in curva ed era molto stabile”.
Anche Jochen Mass fu tra i primi piloti a poter provare la 956, e ne restò letteralmente rapito: “Era così diversa da tutte le altre auto da corsa che avevo guidato prima. Aveva molto più carico aerodinamico ed era efficiente in ogni dettaglio. Con la 956 sembrava che tante curve fossero sparite. L'auto era così buona che si poteva affrontarle in pieno. Inoltre, era anche molto comodo da guidare, anche nelle corse più lunghe, perché i sedili erano imbottiti ed ergonomici”.
Nonostante le rassicurazioni fornite a Bell, il responsabile dello sviluppo Helmuth Bott era tra i pochi scettici sul potenziale della 956: stentava a credere che un'auto da corsa da 620 CV sarebbe stata più veloce del modello che l’aveva preceduta, la 917, che poteva contare su una potenza di 1.000 CV. E per assicurarsi che il test comparativo non venisse condizionato scelse personalmente il pilota a cui affidare l’incarico: Derek Bell. Il progettista Norbert Singer ridacchia ora ripensando all’esito di quel test: “La 956 fu più veloce di due secondi. Bott fu talmente meravigliato e soddisfatto da voler persino salire sull’auto da corsa per rendersi conto direttamente di come funzionava”.
Nel 1982, a Le Mans Derek Bell e Jacky Ickx portarono alla vittoria la 956. Alle loro spalle, a completare il successo della casa tedesca e della nuova vettura alla sua prima stagone nel Gruppo C, altre due 956, rispettivamente pilotate da Jochen Mass-Vern Schuppan e Hurley Haywood-Al Holbert-Jürgen Barth.
Formula risparmio
Tuttavia, non fu affatto facile. Risparmiare benzina fu una preoccupazione fondamentale fin dall'inizio. "Per la prima volta, c'era una regola molto chiara sul consumo di carburante per le gare di durata - spiega Singer -. Si poteva avere a bordo un massimo di 100 litri ed era obbligatorio fare cinque pit stop. Per l'intera distanza di gara erano ammessi un massimo di 600 litri. Ma non si poteva rischiare di consumare tutta la benzina prima di fermarsi ai box per il rifornimento: il pericolo di rimanere bloccato lungo la pista era troppo grande. Ed in effetti a qualcuno successe di restare a secco a due giri dalla fine”.
Però anche risparmiare carburante era un'impresa pericolosa, ricorda Bell: “Fissavamo un pezzo di carta, di circa cinque per sette centimetri, al centro del volante, con scritto il numero dei giri da 1 a 13. L’indicatore sul quadro strumenti indicava quanto carburante avevamo consumato fino a quel punto e, di conseguenza, sapevamo quanti giri avevamo percorso. Se ne avevamo completati 11 giri con il carburante significava che stavamo viaggiando molto velocemente. Ma ciò avrebbe significato anche più soste per il carburante e ad ogni pit stop perdevamo da tre a quattro minuti di tempo. Potevamo farne anche 13 di giri con il carburante, ma pilotando in modo molto economico e pure noioso. Insomma, il calcolo in sé non era molto complicato, ma la lettura era tutta un'altra cosa, perché sul rettilineo di Mulsanne viaggiavamo a 360 km/h e allo stesso tempo dovevamo guardare questo piccolo pezzo di carta e capire quanti giri ci eravamo prefissati di fare. Credetemi, non è stato un lavoro facile con quelle macchine”.
Hans-Joachim Stuck, entrato nel team Porsche nel 1985, rivela il trucco vincente: “Peter Falk ci aveva insegnato come risparmiare carburante extra a Le Mans. Ad esempio, nella staccata dopo il lunghissimo rettilineo di Mulsanne, invece di frenare normalmente 200 metri prima della curva dovevamo rilasciare l'acceleratore 400 metri prima e lasciare che l'auto vi arrivasse grazie all’inerzia della velocità. Ripetendo questa tecnica per altre 10 curve abbiamo ridotto notevolmente la distanza percorsa con l'acceleratore premuto. Che idea brillante: è così che li abbiamo battuti tutti!"
Non solo. Il team dovette adottare anche degli accorgimenti particolari per risolvere un altro problema legato al carburante che spesso presentava caratteristiche completamente differenti tra un circuito e l’altro, rendendo praticamente impossibile la corretta messa a punto dei motori. Helmut Schmid, all'epoca addetto ai motori, racconta come fu risolto il problema: “Installammo sulla 944 Turbo aziendale di Norbert Singer un misuratore per confrontare la differenza di resa tra benzina convenzionale e quella sul circuito ai massimi regimi di giri; quindi, mettendo a confronto i dati sapevamo come mettere a punto i parametri di accensione e iniezione”. Singer riassume così i risultati: "Il confronto tra i dati di Spa nel 1982 e nel 1985 mostrò che il tempo medio sul giro dell'intera gara in quel periodo aumentò del 7%, mentre il consumo di carburante diminuì del 23%".
Il cambio Porsche a doppia frizione, o PDK come viene sintetizzato, utilizzato per la prima volta sulla 956 nel 1984 durante i test a Imola, si rivelò un enorme sollievo per i piloti. Stuck fu uno dei collaudatori più convinti, tanto che oggi “Striezel” afferma: "Per me quel nuovo tipo di cambio fu un'esperienza fantastica. Si rivelò un vantaggio sin dal primo giro a Weissach, anche se i tempi sul giro erano inizialmente un po' più lenti a causa del peso extra. Però non dovevi più rilasciare il gas per cambiare marcia. Inoltre, non c’era più il rischio di sbagliare marcia e fare grossi danni. All'inizio utilizzavamo una normale leva del cambio, da spingere in avanti o tirare indietro, ma ben presto furono montati due pulsanti sul volante: in alto per salire di marcia, in basso per scalare. Ciò significava che non dovevi più togliere le mani dal volante. Tuttavia, lo sterzo senza servoassistenza rimase estenuante da manovrare. Ad un certo punto ci fu l'idea di installare un servosterzo; invece, Bott ci consigliò di allenare di più le braccia”. E anche Derek Bell e Jochen Mass che all’inizio erano un po’ scettici sul PDK, l’inglese per l’affidabilità mentre il tedesco per il peggioramento della maneggevolezza causata dall’aggravio di peso, alla fine dovettero ammettere che la nuova trasmissione, installata sulle 956 nel 1986/1987, si dimostrò affidabile e performante.
Una modifica alle regole dell'IMSA nel 1984 obbligò i tecnici di Weissach a trasformare la 956 in 962. “A differenza del Gruppo C, il regolamento IMSA imponeva che, per ragioni di sicurezza, la pedaliera non potesse essere oltre l’asse anteriore – spiega Singer -. Perciò nella 962 abbiamo spostato l'asse anteriore di 12 cm in avanti. Il layout era lo stesso, solo lo sbalzo anteriore era più corto, ma fu necessario effettuare un po’ di sviluppo per ottenere lo stesso carico aerodinamico all'anteriore".
La durata della vita della 956/962 fu così lunga che persino una star del DTM come Bernd Schneider guidò una 962 all'inizio degli anni '90. "Trovai quell'auto immediatamente adatta al mio stile di guida - afferma Schneider -. E fortunatamente in quegli anni disponevamo già di sistemi elettronici per risparmiare carburante; perciò, non dovetti attaccare foglietti di carta al volante. A volte avevamo a nostra disposizione fino a 900 PS. In particolare, rimasi colpito dal fantastico effetto suolo. Venivo dalla Formula 1, ma all'epoca i motori non erano particolarmente potenti, perciò, non c'era molto carico aerodinamico. Quando sono salito sulla Porsche, è stato incredibile. Nel 1990, con gomme e modalità da qualifica, a Spa riuscivamo a percorrere in pieno le curve veloci come l'Eau Rouge”.
Ma la 962 non aveva ancora finito di sorprendere. Dal 1993 il regolamento del Mondiale Endurance cancellò il Gruppo C dando spazio alle GT. “Allora Jochen Dauer, che possedeva diverse 962 ormai inutilizzabili per le corse, chiese alla Porsche un aiuto per ottenere l’omologazione stradale per la 962 – racconta Singer -. Sulle prime la Casa rifiutò, ma quando la McLaren schierò la sua F1 con tecnologia da Formula Uno, con tre posti, bagagliaio e omologazione stradale, presero una 962 e la trasformarono in una vettura stradale con carrozzeria Dauer. Quella vettura fu in grado di competere a Le Mans per un solo anno, il 1994, vincendo la gara".