Ancora prima che in Italia Gabriele D’Annunzio decidesse di declinare l’automobile come sostantivo femminile, un signore francese, nel 1922, pensò di mettere in cantiere una vettura rivolta anche a un pubblico femminile. Da allora l’industria automobilistica ha realizzato una miriade di modelli che, per gentilezza ed eleganza delle linee e per caratteristiche, sono sembrati particolarmente destinati al pubblico femminile.
Ma partiamo proprio da André Citroën, geniale imprenditore da sempre precursore dei tempi, e dalla sua piccola e compatta Citroën 5CV Type C. Una vetturetta che non solo presentava notevole manovrabilità e facilità di manutenzione ma con la sua potenza fiscale di 5CV, da cui prendeva il nome, era anche economica. E, in più, usciva dalla produzione in tinte vivaci che conquistavano le signore. Tanto da essere soprannominata “Petit Citron” (“Piccolo Limone”) per il colore giallo della carrozzeria che appariva sulla réclame.
Pochi anni dopo, in Italia, fu la Fiat 509 ad ispirare al vate che l’automobile doveva essere femmina. “Ha la grazia, la snellezza, la vivacità d'una seduttrice”, scriveva nel 1926 al Senatore Giovanni Agnelli, che gli aveva regalato proprio una magnifica Fiat 509. Il modello ha segnato, con il suo motore da un litro e un prezzo compreso tra le 16 e le 25mila lire, la prima ampia diffusione di automobili nel Paese. Era infatti pensato per far accedere al mercato le classi meno abbienti. Ed era pensato bene, tanto che un anno dopo la presentazione alla Fiera di Milano del 1925, la 509 era l’auto più popolare nel Paese e, fino alla fine della sua produzione nel 1929, ben 90mila esemplari hanno viaggiato lungo la Penisola. La Fiat 509 non era un’auto prettamente destinata alle donne ma aveva una compattezza e una leggerezza (795 Kg a vuoto) tali da far pensare che potesse essere di facile utilizzo anche per il “gentil sesso”.
Un po’ come la Lancia Ardea, capolavoro di fine anni Trenta, simile nell’estetica e nella meccanica alla precedente e ultra-innovativa Aprilia ma di dimensioni e cilindrata ridotte. Con 30 CV che, tuttavia, le consentivano di raggiungere 110 Km/h e facevano di lei una utilitaria di lusso. Anche perché non le mancavano gli elementi di eleganza e raffinatezza che avevano già contraddistinto i modelli più importanti del marchio, quali il morbido panno grigio o nocciola della tappezzeria, la strumentazione che includeva tachimetro con contachilometri totale e parziale e diversi altri accessori di livello elevato. Costruita in quattro serie, fino al 1953, l'Ardea monta un quattro cilindri a V stretto di soli 903cc di cilindrata, con valvole e albero di distribuzione in testa, il più piccolo mai costruito dalla Lancia. La sua storia “in rosa” è rappresentata in particolare dal fatto che essendo stata l’ultima idea di Vincenzo Lancia, ne ha sviluppato il progetto la vedova Adele Miglietti, che aveva preso le redini dell’azienda, portandolo a termine due anni dopo la morte del fondatore della Casa nel 1937.
La sua linea di carrozzeria ha ispirato quella che è stata poi, oltre quarant’anni dopo, un’icona della Casa dedicata alla figura femminile: la Y10. Dal 1985, quando è nata la prima serie, l’iconica city-car della Lancia ha conquistato, fino al 2015, 2,7 milioni di clienti in tutta Europa e per tre anni consecutivi, a partire dal 2013, è stata definita la vettura preferita dalle donne italiane.
Un rapporto stretto, quello tra le automobili e “l’altra metà del cielo” che nel nostro Paese ha iniziato ad essere rimarcato nelle immagini dei modelli già nel 1932 con la nascita della Balilla, al secolo Fiat 508. La “vetturetta per tutti”, dati il costo accessibile e le dimensioni contenute, era raffigurata nei celebri manifesti del pittore Ducovic che associavano l’armonia formale dell’auto alla “eleganza della signora”, sempre con la presenza di una o due donne alte e magnificamente vestite. Ma non solo, la Balilla veniva anche pubblicizzata con una fotografia che ha fatto epoca in cui una giovane signora era alla guida. L’obiettivo era sottolineare, ancora una volta, la maneggevolezza e la facilità di guida del modello.
Per un vero exploit di autovetture destinate alle donne bisogna aspettare tuttavia gli anni Cinquanta, è questa l’epoca in cui le case cominciano a progettare pensando alle esigenze della clientela femminile. Per lo meno all’estero: nel 1952 la Austin inizia ad assemblare con un proprio motore da 1,2 litri quella che sarà la prima auto americana per il mercato a stelle e strisce prodotta in Europa: la Nash Metropolitan, che in seguito, dal 1956, verrà distribuita anche dalla marca britannica su questa sponda dell’Atlantico.
Con le sue cromature lucenti e la livrea bicolore, era una versione in formato ridotto delle grandi streamline d’Oltreoceano ed è stata concepita come auto perfetta per lo shopping e per brevi spostamenti quotidiani. Vale a dire, per le signore: non a caso, all’epoca era ampiamente reclamizzata sui magazine femminili. Mentre nell’elenco delle sue acquirenti più famose figura anche la principessa Margaret d’Inghilterra, sorella minore della regina Elisabetta II.
In Italia dalla fine della Seconda Guerra Mondiale fino alla decade successiva, più che l’era delle auto destinate alla clientela femminile, ha preso il via l’ondata delle familiari che, sulla spinta del boom economico hanno motorizzato il Paese: dalla seconda e terza serie della Fiat 500 “Topolino”, ovvero la B uscita nel 1948 e la C del 1949, alla Fiat 600 del 1955 e alla Nuova 500, nata nel 1957. È il periodo degli sportelli controvento e dei consigli per le signore su come entrare in auto con eleganza, come si vede ancora in alcuni filmati dell’Istituto Luce realizzati in collaborazione con la rivista Quattroruote.
Tuttavia, forme tondeggianti, passo corto, potenza e consumi contenuti fanno spesso accomunare questa categoria di vetture alle donne, e fra loro possiamo considerare anche la Renault Dauphine, che in Italia veniva prodotta dall’Alfa Romeo.
Stessa cosa per le micro car, dalla la Iso Isetta del 1953, tre ruote con un solo portellone d’accesso sul frontale ed economicità estrema, al minuscolo Messerchmitt, che veniva reclamizzato stracarico di pacchi e pacchetti, al servizio di una bionda signora in perfetto stile Sixties.
L’Autobianchi Bianchina, con la sua versione trasformabile che è stata anche la prima a essere costruita, nel 1957, segna la svolta che vede le donne protagoniste al volante, ammiccando alle automobiliste come fa del resto tutto l’universo cabrio degli anni successivi.
Ne sono esempi la Fiat 850 Spider che riempiva d’orgoglio Anna Magnani sulle strade della capitale in L’Automobile (1971) o il Maggiolino scoperto (Volkswagen Typ 1) del 1949, fino alla Ford Escort Cabriolet e alla Talbot Samba Cabriolet degli anni Ottanta, solo per citarne alcune.
Tra gli emblemi più amati della categoria, in epoca più moderna va segnalata l’Audi TT Quattro roadster, commercializzata a partire dal 1998 e ancora molto ricercata dai collezionisti di vetture Youngtimer per via del suo comfort moderno unito al fascino del passato. Con il suo design audace, le luci avvolgenti, gli interni ultramoderni e la grande qualità meccanica, l'Audi TT è un'auto che offre un rapporto qualità/prezzo formidabile.
A proposito di capelli al vento, negli anni Sessanta arriva ad evocare bellezza e libertà la Renault Floride; per lei niente meno che Brigitte Bardot a farle da testimonial. Presentata al Salone di Parigi nel 1959 e conosciuta nel mercato americano con il nome di Caravelle, si tratta di una Cabriolet piena di fascino, dalle linee raffinate, con motore a 4 cilindri in linea derivato dal motore Ventoux della Dauphine (845 cc, 40CV, velocità massima di 125 km/h).
Nello stesso anno prende vita grazie alla British Motor Corporation e alla matita di Sir Alec Issigonis anche la Mini, l’intramontabile caposaldo delle compattine ancora oggi di successo.
Tanto che due anni fa il marchio britannico, almeno di tradizione dato che ora è di proprietà tedesca, è arrivato a dedicare una edizione speciale a Pat Moss, sorella del campionissimo Stirling, che nel 1962 al volante della mitica Mini Cooper conquistò la prima vittoria in un rally internazionale per il brand Mini.
Mentre nel 1965 un mito come la Lancia Fulvia Coupé, vanto assoluto dell’industria automobilistica italiana, viene accostato espressamente nelle pubblicità all’immagine della donna, con questa motivazione: trasmette voglia di emancipazione e indipendenza, sempre con la caratteristica eleganza sobria della Lancia. Con un design azzeccatissimo, frutto della matita del brillante stilista Piero Castagnero, la Fulvia Coupé è stata allestita nella versione con motore di 1216cc e, con una serie di potenziamenti meccanici come la cilindrata portata a 1600cc e l'adozione del cambio a cinque marce, è rimasta in produzione fino al 1976.
A partire dagli anni Settanta la galassia delle utilitarie ha fatto gola alla quasi totalità dei costruttori: si sono avvicendate negli anni la LNA e la Visa in casa Citroën, la Peugeot 104 e la Fiat 126.
Quindi le successive Fiat Panda e Fiat Seicento, la Nissan Micra e poi la Figaro, le Renault 5 e Clio, la Ford Ka. Ancora, cambiando versante geografico, la Toyota Yaris, la Sirion della Daihatsu, un brand che in Italia è poi scomparso dal 2013, la Daewoo Matiz… molte di queste hanno visto la luce al termine degli anni Novanta, lasciando poi il posto alle piccole grandi glorie nate dopo il 2000 e in molti casi ancora in voga.
Parlando della fine del secolo scorso, poi, non si può poi non menzionare il New Beetle, il restyling del Maggiolino avvenuto nel 1998 con novità che strizzavano l’occhio al mondo femminile come il vaso portafiori sul cruscotto. Oltre che un’auto, un omaggio alle donne.
(Foto Car&Classic)