Leggera e aerodinamica, era fatta apposta per le corse. I piloti però le preferirono la… Giulietta Sprint Zagato. La “SS”, come viene comunemente chiamata, resta tuttavia la versione top della dinastia Giulietta, che quest’anno spegne le 70 candeline, per fascino e prestazioni. L’abbiamo provata in una delle scorse edizioni della classicissima cronoscalata Cesana-Sestriere.

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Di Eugenio Mosca  

Una celebre frase attribuita a Enzo Ferrari sentenziava che “la macchina bella è quella che vince”. Naturalmente non ce la sentiamo di contrariare un giudizio proveniente da tale pulpito, però con una vena forse più romantica crediamo di poter fare uno strappo alla regola giudicando, comunque, bellissima l’Alfa Romeo Giulietta 1300 Sprint Speciale, nonostante un palmarès piuttosto avaro di risultati. E questo benché l’affascinante vettura del Biscione fosse nata proprio per le corse e con tutte le carte in regola per ben figurare. Ma ebbe la sfortuna di trovare un’acerrima concorrente proprio in famiglia.

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Galleria del vento… autostradale

Sulla scia dei successi conquistati nelle competizioni dalla Giulietta 1.3 Sprint Veloce, e visto l’interesse suscitato nei gentleman-driver da alcune interpretazioni più aerodinamiche della suddetta vettura realizzate da Zagato, nel 1957 l’Alfa Romeo pensò a una versione appositamente allestita per i piloti, più leggera e aerodinamica. Lo studio della “Giulietta SS”, come viene comunemente chiamata nell’ambiente, fu affidato a Bertone che si avvalse dell’estro e dell’esperienza maturati da Franco Scaglione sulle “BAT”, vetture sperimentali dalle spiccate caratteristiche aerodinamiche. Il tecnico realizzò infatti un disegno molto evoluto ed esasperato per l’epoca, successivamente un po’ “addomesticato” nella versione definitiva. Disegno frutto dell’osservazione diretta dei flussi d’aria, tramite fili di lana applicati sulla carrozzeria di una vettura lanciata in velocità sull’autostrada Milano-Torino. Il risultato fu sorprendente per l’epoca, con un coefficiente di penetrazione di 0.28.

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Nata per le corse

Per questa vettura fu adottato un telaio a passo corto (2.250 mm), lo stesso utilizzato anche per la Spider, e le prime 100 vetture necessarie per l’omologazione oltre ad avere il muso dall’andamento più basso, per questo denominate “low nose”, avevano anche porte e cofani in alluminio. Ma le novità tecniche che poteva vantare la Giulietta SS erano molte anche sotto la pelle. A partire dal bialbero 1.3 potenziato a 98 CV (76 CV/ litro, contro i 41 della Giulietta “normale”), grazie a un differente disegno delle camere di scoppio, valvole maggiorate e carburatori Weber 40 DCO3. Il tutto permetteva di superare i 190 km/h, accoppiato a un cambio a 5 marce e ai freni anteriori a tamburo con tre ceppi autoavvolgenti. Con lo stesso telaio e la medesima meccanica, Zagato allestì una vettura, la Sprint Zagato meglio conosciuta come “SZ”, meno profilata ma più leggera di 100 kg della “sorella”, tanto che la quasi totalità dei piloti si orientò su questa vettura col risultato che la Sprint Speciale finì per essere accantonata. A lei non rimase che interpretare il ruolo di una tra le più belle gran turismo dell’epoca, tanto che ancora oggi le sue linee lasciano senza fiato.

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Ritrovamento fortunato

Parlare oggi del classico ritrovamento di un’auto pregiata abbandonata nel fienile e portarla via per pochi soldi perché il proprietario se ne vuole disfare è pura fantascienza, ma negli anni ’90 questo poteva ancora succedere e, con un po’ di fortuna, chi se ne intendeva poteva fare buoni affari. Tra questi c’è Marco Cajani, presidente della Scuderia del Portello. Già, perché durante una gara disputata con una vettura della stessa Scuderia, l’amico Gino Pozzo, pilota di valore scomparsi alcuni anni fa, gli parlò di una macchina interessante di cui il proprietario voleva disfarsi e che, secondo lui, valeva una scappata a Torino per dare un’occhiata. Detto, fatto. La macchina giaceva abbandonata nel magazzino dell’azienda edile del proprietario, quasi sommersa da materiale di ogni genere e con il tetto parzialmente schiacciato. Sulle prime nemmeno un occhio allenato come quello di Cajani aveva captato l’effettivo valore di quel “rottame”: “Già, tanto è vero che mi convinsi a ritirarla solo perché veniva via per poco ed era completa di tutto, interni e meccanica, pensando che al massimo sarebbe servita per ricavarne ricambi - ammette Cajani -. Inoltre, aveva il muso più basso, che ci fece pensare a una riparazione eseguita male. Invece si trattava di una prima serie, che aveva appunto l’andamento del muso diverso, porte e cofani in alluminio, il bauletto posteriore più piccolo, i vetri in plexiglas scorrevoli e il parabrezza più bombato rispetto alle altre, tanto che non trovandolo come ricambio abbiamo dovuto farlo realizzare ex novo. Teoricamente queste vetture non avevano lo scudetto anteriore nella presa d’aria, ma quando l’abbiamo trovato la vettura l’aveva perciò, per rispettare la sua originalità, l’abbiamo mantenuto”.

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Preparazione Light

Appurato il blasone dell’auto, infatti, si è optato per una preparazione “light” della vettura in versione corsa, conservando la maggior parte dei pezzi originali di carrozzeria e meccanica, compresi i rivestimenti interni ed i sedili ipotizzando anche un eventuale futuro ritorno alla versione stradale. La scocca nuda è stata sverniciata prima a mano e quindi ripulita definitivamente con una sabbiatura leggera, tranne le parti in alluminio, per arrivare alla lamiera viva e verificarne l’effettivo stato di salute.

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L’ossatura principale si presentava integra, ma dato l’utilizzo corsaiolo sono stati sostituiti, precauzionalmente per garantire maggiore integrità all’insieme, i fascioni laterali ed i fondi. Inoltre, in diversi punti l’accoppiamento dei lamierati è stato risaldato, così come sono stati rinforzati i punti di attacco delle sospensioni e applicate, in sei punti, le piastre di fissaggio della gabbia di sicurezza, poi imbullonata.

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Per limitare il peso (875 kg totali) le superfici vetrate sono state sostituite con altre in lexan. Le sospensioni mantengono gli elementi originali, con bracci e tiranti riverniciati e snodi sostituiti, mentre gli ammortizzatori sono dei Koni racing dell’epoca, revisionati, regolabili in estensione con molle elicoidali coassiali più rigide sia all’anteriore che al posteriore, mentre la barra antirollio anteriore è rimasta originale.

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Anche I freni a tamburo sono rimasti originali, come da regolamento, con quelli anteriori di diametro e larghezza maggiori, con tre ceppi e alettature oblique per agevolare il raffreddamento, mentre il materiale d’attrito è di tipo racing.

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Privilegiata la guidabilità

Anche la preparazione del motore non è stata esasperata, in previsione di un utilizzo anche per gare su strada, privilegiando la guidabilità invece che la ricerca della potenza pura agli alti regimi. Quindi, mantenendo il più possibile le parti originali, si è trattato più di un lavoro di affinamento delle prestazioni già interessanti del bialbero milanese di 1.3 litri. L’albero motore, insieme al volano, sono stati alleggeriti e bilanciati, così come le bielle, mentre i pistoni sono stati sostituiti con altri in grado di assicurare maggiore rapporto di compressione, unitamente al lavoro di adeguamento delle camere di scoppio. Sostituiti anche gli alberi a camme con altri dal profilo più spinto, ma non esasperato, mentre pur dovendo mantenere per regolamento le valvole di dimensioni originali le stesse sono state lavorate sulla forma del fungo per ottimizzare la fluidodinamica, al pari della lucidatura dei condotti e raccordatura con i collettori che devono restare originali.

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Lo stesso dicasi dei due carburatori doppio corpo Weber 40 DCO3, adattati per l’utilizzo racing sostituendo getti e spilli conici e variando i livelli. Infine, è stata asportata la parte superiore della cassa filtro e lo stesso, con aspirazione che ora è libera, mentre l’impianto di scarico a valle dei collettori è più “libero”. Dopo questa cura il bialbero milanese arriva ad erogare 115 cv a 7.000 giri/min.

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Gli organi della trasmissione sono rimasti originali, come prescrive il regolamento, così come la rapportatura del cambio, mentre sono possibili tre scelte di rapporto al ponte.

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Originali anche il differenziale privo di autobloccante, l’albero di trasmissione ed i semiassi, il gruppo frizione al quale però è sono state montate molle spingidisco più rigide e il disco in materiale sinterizzato.

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Auto di rappresentanza

Va sottolineato che volendo fare le cose con cura i tempi di restauro sono stati abbastanza lunghi e una volta tornata attiva la “nostra bella” non si è concessa molte uscite, selezionando con cura la propria presenza a manifestazioni di prestigio: oltre al Goodwood Revival, Montlhéry, Donington, Coppa Intereuropa e la Cesana-Sestriere Sestriere, una classicissima delle cronoscalate, dove ho avuto il privilegio di poterla guidare.

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Colpo di fulmine!

Al mio arrivo nel paddock della gara, guardandola parcheggiata non ho potuto fare a meno di restare incantato ammirando le sue linee mozzafiato, che mi hanno indotto a pensare che il colpo di fulmine esiste, eccome! Allo stesso tempo mi rendo conto anche della responsabilità che avrò nel portare in gara su una strada di montagna dal percorso decisamente impegnativo, oltre 11 km per buona parte misto-veloce, una vettura così blasonata.

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Ma una volta impugnato il volante Nardi originale, a tre razze forate con corona in bachelite, la soddisfazione sale alle stelle e ci sentiamo padroni della situazione. Un po’ meno al primo impatto dinamico, dove dobbiamo familiarizzare con le gomme Dunlop Racing che trasmettono una certa insicurezza nell’approccio alla curva e, ancora peggio, nei cambi di traiettoria sui tratti più veloci, che sul tracciato piemontese la fanno da padroni. Una sensazione di imprecisione dell’assetto acuita dalla taratura morbida dello stesso, regolato per le gare su strada.

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Carramba!

Nell’intervallo tra una prova e l’altra, tra il folto pubblico noto un altro assiduo e particolarmente attento ammiratore della “nostra” Giulietta SS parcheggiata davanti al camion della Scuderia del Portello. Ad occhio e croce ha superato la settantina ma è in buona forma: “È da tanto tempo che non mi capitava di vederne una intera dal vivo - esordisce incrociando il mio sguardo -. Negli anni ’50 ho lavorato come caposquadra alla Olpa di Torino, che realizzava le carrozzerie delle Giulietta Sprint, Spider e SS per Bertone. Me la ricordo bene, era fatta tutta a mano. Aveva molte curvature e allora per modellare la lamiera usavamo il martello di legno. Poi si spianava la lamiera con il martello elettrico sul mascherone di legno. I parafanghi anteriori erano modellati in due parti, poi unite nella parte superiore tramite saldatura a ossigeno con ferro. I saldatori erano molto bravi e cercavano di utilizzare al minimo il cordoncino di ferro per limitare l’effetto “gobba” superficiale. Anche il tetto era fatto in due parti poi unite. La parte anteriore, davanti al parabrezza, era invece modellata a caldo, anche in questo caso da operatori che sapevano il fatto loro perché dovevano calcolare bene le modifiche che subiva la lamiera in base alle variazioni di temperatura. Ogni gruppo si occupava di una parte, quindi capitava raramente di vedere il lavoro completo. Perciò è bello vedere questa macchina nel suo insieme e in ottimo stato”.

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Se sei incerto…

Col passare dei chilometri, durante le salite di prova, ci facciamo il callo alle prime sensazioni di incertezza della stabilità e, assimilate le reazioni degli pneumatici, impariamo come agire sul volante per compensarle.

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Da qui in poi abbiamo modo di apprezzare decisamente meglio l’assetto della Giulietta SS che, pur accusando un certo coricamento per la taratura morbida, mostra precisione nella percorrenza di traiettoria delle molte curve veloci del tracciato, manifestando quando la si impegna un leggero sovrasterzo che oltre ad essere controllabile diventa pure piacevole aiutando la vettura a voltare nelle curve più chiuse, così com’è precisa ed efficace la frenata. Anche il motore si fa apprezzare per la brillantezza, pur non adeguatamente supportato dalla rapportatura lunga: il rapporto al ponte 9/41 è quello stradale, ideale per tracciati come Monza.

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Perciò fuori dai tornanti, per fortuna solo un paio, che percorriamo in seconda marcia per evitare deleteri fuorigiri (la consegna ci impone di non superare i 6.800 giri), il motore è sottocoppia e la Giulietta SS arranca un po’, ma appena superata quota 5.000 il bialbero comincia a cantare come un violino e a spingere.

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In definitiva la Giuliettina SS ci ha fatto divertire e, cosa che non guasta mai, al debutto in una cronoscalata, per giunta su un tracciato bello e selettivo come quello della Cesana-Sestriere, aver portato a casa la vittoria di classe, anche se per un solo decimo di secondo su chi ci siamo lasciati alle spalle, non è poi così male.

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Anche perché ripensandoci, la differenza potrebbe essere scaturita dalla decisione di affrontare in pieno lo spettacolare salto a tre quarti del percorso, nel più puro rispetto della regola “se sei incerto… tieni aperto”! Ma soprattutto non abbiamo fatto danni alla splendida Giulietta SS. E lei, mentre la riportavo in basso al paddock era tutta scoppiettante. Mi piace pensare che fosse il suo modo per farmi capire quanto si sia divertita!

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