La Giulietta, che quest’anno spegne le 70 candeline, oltre che una pietra miliare ha rappresentato una svolta industriale nella storia Alfa Romeo. E grazie alla sua tecnica, all’avanguardia per l’epoca, ha rappresentato anche un’ottima base di partenza per le versioni sportive dei vari modelli. In questo servizio vediamo com’è fatta la versione racing della Giulietta TI 1300 della Scuderia del Portello e come va in pista, a Monza.
Di Eugenio Mosca – Foto Massimo Campi e Pierangelo Rigamonti
La Giulietta, progetto internamente denominato “Tipo 750”, compie 70 anni! Questo modello di grande successo, tanto da guadagnarsi l’appellativo di “fidanzata d’Italia”, può certamente essere definito una pietra miliare nella storia Alfa Romeo, perché rappresenta la vera svolta industriale della casa milanese, necessaria per potersi affacciare al segmento delle automobili di grande serie e affrontare la cosiddetta “motorizzazione di massa” del dopoguerra. Anche se, in realtà, la Giulietta non era certo una utilitaria ma quella che oggi definiremmo una brillante vettura di segmento medio. Fatto sta, che si trattava di passare dal sistema di produzione praticamente artigianale, che fino ad allora, con il modello 1900, vedeva le officine del Portello sfornare circa una ventina di vetture al giorno, a quello veramente industriale con una produzione giornaliera prevista di oltre 50 vetture. Per pianificare una simile riconversione industriale fu ingaggiato l’ingegnere austriaco Rudolf Hruska, che aveva seguito l’industrializzazione del “Maggiolino” Volkswagen a fianco di Ferdinand Porsche, e per sostenere i costi di un piano così impegnativo l’azienda avviò una sottoscrizione pubblica di capitali, allettando i risparmiatori all’investimento con una lotteria che dal 1955 avrebbe previsto l’estrazione mensile di una Giulietta.
Superata in partenza
Oltre a quello di Hruska, che si occupava delle linee di produzione e montaggio, altri due gruppi di lavoro si occuparono rispettivamente della progettazione del motore e della parte meccanica e telaistica, il primo capeggiato da Giuseppe Busso e il secondo da Orazio Satta Puliga, mentre il centro stile tracciava le linee della carrozzeria sia della berlina che della coupé. Il progetto viaggiò speditamente, con i vari gruppi in perfetta sintonia, e nei primi mesi del 1953 furono realizzati i primi prototipi della Giulietta da provare su strada. I risultati in termini di prestazioni e dinamica della vettura furono subito entusiasmanti, ma nonostante numerose modifiche non si riuscì a risolvere completamente la pecca dalla rumorosità all’interno dell’abitacolo della berlina. Un problema che, oltre ad impedire il completamento delle linee di montaggio e definizione degli accordi con i fornitori esterni, rischiava di far saltare l’appuntamento con il previsto debutto della nuova vettura al Salone di Torino 1954, con grave danno di immagine per l’azienda. Perciò Hruska propose ai dirigenti dell’azienda di presentare prima il modello coupé, per il quale la rumorosità nell’abitacolo sarebbe stata maggiormente tollerata, se non addirittura apprezzata, dalla specifica clientela di quel modello sportivo. Sulle prime il piano non piaceva alla dirigenza, ma visto che il tempo stringeva l’allora presidente Giuseppe Luraghi decise di avvallare questa scelta.
LEGGI ANCHE : ALFA ROMEO GIULIETTA SPIDER 1.3 “SEBRING” - BEN TORNATA GIULIETTA
DNA da corsa
Esattamente un anno dopo, risolte le varie problematiche, arrivò la Giulietta berlina. E fu subito un successo travolgente, tanto da causare tempi di attesa lunghissimi per gli acquirenti. D’altronde, grazie al suo quattro cilindri bialbero di 1.290 cc che eroga 53 CV per una velocità massima di 136 km/h, unitamente a sospensioni all’avanguardia e buona abitabilità, prestazioni e piacere di guida non temevano confronti all’epoca e la nuova berlina diventò ben presto un’icona tanto da guadagnarsi ben presto l’appellativo di “fidanzata d’Italia” per l’interesse suscitato presso le nuove generazioni di automobilisti. La Giulietta segnò anche una svolta tecnologica per l’Alfa Romeo, che mise a frutto la grande esperienza maturata nel periodo bellico nella lavorazione delle leghe leggere metalliche per costruzioni aeronautiche facendone grande utilizzo. Infatti, la Giulietta è una delle poche macchine di grande serie che all’inizio degli anni ’50 poteva vantare un motore con testata e monoblocco in alluminio, così come la scatola del cambio e il differenziale.
Così, grazie al peso contenuto, nonostante un motore di 1.3 litri, peraltro con caratteristiche all’avanguardia, la nuova vettura del Biscione poteva vantare un eccellente rapporto peso potenza. Soprattutto nella versione TI, presentata nel 1957 all’Autodromo di Monza proprio per l’omologazione nel nascente “Turismo Internazionale” (da qui l’acronimo TI, n.d.r..), che grazie al carburatore doppio corpo e ad una fasatura più spinta vedeva crescere la potenza a quota 65 CV e la velocità massima, a fronte di un peso di soli 870 kg, a 155 km/h.
Infatti, proprio questa versione fu utilizzata nelle corse, sia in pista sia nei rally, con ampio successo e una carriera piuttosto lunga. Va altresì sottolineato che la Giulietta rappresentava lo stato dell’arte anche per quanto riguarda le sospensioni, anteriori a ruote indipendenti con doppi bracci trasversali triangolati mentre al posteriore c’era il ponte rigido con puntoni longitudinali e triangolo di ancoraggio superiore, ed i freni a tamburo in alluminio con alettature di raffreddamento, oblique all’anteriore e longitudinali al posteriore.
LEGGI ANCHE : ALFA ROMEO GIULIETTA 1300 SPRINT VELOCE – VELOCE PER DAVVERO!
Dalla strada alla pista
La vettura del nostro servizio, una prima serie datata 1957, è stata restaurata e preparata dalla Scuderia del Portello a fine anni ‘80. La scocca nuda, priva di ogni rivestimento e parti meccaniche, è stata sabbiata arrivando alla lamiera viva sia per verificare l’effettivo stato dei lamierati sia per agevolare i successivi lavori di irrigidimento, tramite la risaldatura dell’accoppiamento lamierati e l’aggiunta di fazzoletti di rinforzo nelle parti più sollecitate, come attacchi sospensioni, tunnel centrale e fascioni laterali, peraltro sostituiti a titolo preventivo dato l’utilizzo racing, oltre alle piastre sulle quali fissare, in sei punti al pianale (montanti A e B e passaruota posteriori) tramite bulloni, la gabbia di sicurezza che lega tutto l’insieme.
Gli elementi delle sospensioni devono restare di serie, tranne per gli ammortizzatori, nello specifico Koni Racing, e relative molle coassiali. Date le caratteristiche della vettura, con sospensioni a ruote indipendenti anteriori e ponte rigido al posteriore, oltre alla mancanza di autobloccante, va curata in modo particolare la taratura dell’assetto per limitare il sollevamento in curva della ruota posteriore interna, con conseguente perdita di trazione. Allo scopo, si tende ad avere una certa rigidezza sull’asse anteriore, anche per limitare l’accentuato rollio, mentre l’asse posteriore deve essere più morbido in modo tale da limitare al minimo il sollevamento della ruota interna alla curva.
Per ottenere il giusto compromesso si opera adeguando la taratura dell’idraulica interna degli ammortizzatori, passo e diametro filo molla, differenti altezze della vettura da terra tra anteriore e posteriore e, cosa importante, i fine corsa delle sospensioni per fare si che la vettura mantenga il più possibile le quattro ruote a contatto con l’asfalto.
Anche l’impianto frenante deve restare di serie, con la pompa singola ed i tamburi a doppie ganasce, quelli anteriori con la pista più ampia e alette esterne di raffreddamento oblique, mentre al posteriore sono longitudinali.
Naturalmente viene sostituito il materiale di attrito dei pattini, ma i freni a tamburo restano uno dei punti deboli della Giulietta TI, come per tutte le autostoriche di quest’epoca, e l’utilizzo di materiale d’attrito più performante certamente migliora la frenata ma al tempo stesso può accentuare il problema del surriscaldamento nelle frenate più violente. Perciò sta al pilota adeguare lo stile di guida, magari adottando una particolare tecnica di frenata che consiste nell’intervallare la pressione nelle staccate più dure, in modo tale da dare un po’ di “respiro” a tamburi e pattini.
Apertura simultanea
Il bialbero Alfa Romeo si può certamente considerare lo stato dell’arte motoristica di serie per l’epoca, ma il quattro cilindri della Giulietta Ti aveva due handicap che, unitamente ai vincoli regolamentari che obbligavano a mantenere carburatore e collettori di aspirazione e scarico originali, rendevano particolarmente difficoltosa la ricerca di aumento di potenza nella preparazione da corsa.
Per quanto riguarda i collettori si può intervenire solamente effettuando il classico lavoro di affinamento delle pareti ed eliminazione di eventuali scalini di raccordo per ottimizzare la fluidodinamica, mentre il singolo carburatore doppio corpo Solex 35, in cui originariamente l’apertura del secondo corpo avveniva tramite depressione, viene modificato con l’adozione di un contrappeso maggiore del secondo corpo, modifica studiata in Alfa Romeo già nel 1958 e di cui era stata emanata una circolare, che lo fa aprire simultaneamente al primo garantendo i vantaggi di un vero carburatore doppio corpo.
Il regolamento consente invece la sostituzione dei pistoni, con quelli stampati della Sprint Veloce che garantiscono un aumento del rapporto di compressione, di alberi a camme di profilo più spinto e del volano, ugualmente in acciaio ma più leggero anch’esso di provenienza Sprint Veloce, poi bilanciato in blocco con l’albero motore alleggerito. Inoltre, viene lavorata la testata sia all’interno delle camere di scoppio, con l’aumento del diametro delle valvole alle quali viene aggiunta una doppia molla di richiamo, sia come lucidatura e affinamento dei condotti, eliminando qualsiasi gradino di raccordo tra la testata ed i collettori. Un lavoro certosino che, alla ricerca della più piccola porzione di potenza, riguarda anche la ventola di raffreddamento azionata dalla cinghia, sulla quale vengono accorciate le pale per offrire minore resistenza.
Infine, per contenere le temperature di esercizio del motore entro valori ottimali, viene montato in posizione anteriore un radiatore dell’olio motore, tramite una piastra applicata sulla sede del filtro olio originale alla quale sono fissati i raccordi dei tubi di mandata e ritorno. Dopo questa cura intensiva, operata “mago” milanese Samuele Baggioli, purtroppo venuto a mancare alcuni anni fa, il quattro cilindri Alfa Romeo 1300 ha superato di poco la soglia dei 100 CV a 7.400 giri/min, davvero mica male per un motore progettato settant’anni fa.
Il cambio, quattro marce sincronizzate con il comando sul piantone dello sterzo, rimane originale, mentre la frizione ha un disco in rame. Originale anche l’albero di trasmissione e il differenziale, privo di autobloccante, nel quale può essere sostituita la coppia conica, utilizzando il rapporto più corto 8/41.
Pugno deciso in guanto di velluto
Per la prova della Giulietta TI 1300 giochiamo in casa, dato che venne presentata proprio all’Autodromo di Monza nel 1957. L’accesso all’abitacolo è agevole, data anche la mancanza della croce laterale di rinforzo del roll bar. Al posto di guida la sensazione di baricentro alto è accentuata dalla seduta piuttosto alta, nonostante il sedile racing, quasi più rallistica che pistaiola.
Qualcuno, magari, potrà obbiettare che il “Tempio della Velocità” non parrebbe il palcoscenico ideale per la “Giuliettina”; certamente con i suoi circa 190 all’ora i rettilinei brianzoli sembrano ancora più lunghi, ma per il resto possiamo assicurare che la “sua” pista se la merita tutta, perché ottenere un bel tempo sul giro non è poi così banale. Per ottenere il massimo dalla “fidanzatina” da corsa, va trattata con i guanti di velluto: con decisione ma al tempo stesso dolcezza. A cominciare dalle violente staccate che precedono le varianti, dove con i freni a tamburo bisogna saper osare e dosare: cioè, frenare sotto quanto basta ma alleggerendo ad intervalli la pressione sul pedale per non surriscaldare i freni, soprattutto in corsa che dura un’ora.
In questo modo si limita anche la possibilità che la vettura possa scomporsi in modo eccessivo sia per il beccheggio, che alleggerisce il posteriore, sia per l’effettiva difficoltà di registrazione dei tamburi in modo perfettamente bilanciato tra loro. Lo stesso mix va utilizzato nell’approccio alle curve. L’anteriore è bello preciso come inserimento, quindi si può affrontare con decisione l’ingresso in curva ma da qui in poi bisogna agire con dolcezza sul volantone: nelle strette varianti, dove è necessario tagliare sui cordoli avendo l’accortezza di saltarli con la macchina che scorre dritta evitando sterzate brusche che, dato il rollio e il baricentro alto, potrebbero causare spaventi.
Mentre nelle curve veloci bisogna acquisire il necessario feeling per lasciarla “scivolare” sulle quattro ruote, “giocando” di volante per evitare impuntamenti che farebbero sollevare la ruota posteriore interna causando perdita di trazione, data l’assenza dell’autobloccante, e di tempo prezioso.
Nei tratti di accelerazione, in particolare all’uscita dalle varianti, il “bialbero dei miracoli” mostra un caratterino niente male, alla faccia dei 70 anni dalla progettazione. Pronto al richiamo dell’acceleratore, con una discreta spinta a partire dai 5.000 giri/min. per salire in modo brillante fino alla soglia dei 7.400 giri/min, affiancato da un cambio che pur non consentendo certo cambiate fulminee, dato il leveraggio e l’escursione della leva sul piantone dello sterzo, si difende nella salita di rapporto mentre richiede una certa precauzione nella fase di scalata, soprattutto tra seconda e terza marcia, anche per evitare disastrosi fuorigiri. Insomma, acquisiti questi accorgimenti, il minimo rispettosamente dovuto a questa signorina, la Giulietta TI ripaga con grande divertimento.