Di Enrico Mapelli
Con la scomparsa di Mauro Forghieri, avvenuta alle luci dell’alba di mercoledì 2 novembre, non è solo un personaggio importante nella storia della Ferrari che se ne va. Con il suo addio è come salutare un altro pezzo di quel mondo delle corse automobilistiche che avevano l’uomo al centro del progetto. Che fosse il pilota, il patron, o l’ingegnere che lavorava alle dipendenze del secondo per far vincere il primo.
Di un mondo delle corse dove ancora contava la presenza sul campo, più che davanti al monitor di un computer. Proprio le vicende agonistiche di Forghieri lo spiegano attraverso due episodi capitatigli che hanno fatto storia. Watkins Glen, 1974, ultimo gran premio dell’anno di una Mondiale di Formula 1 che vede a pari punti Clay Regazzoni con la Rossa e il brasiliano Emerson Fittipaldi con la McLaren. Forghieri è ancora in Italia quando tutta la troupe di Maranello è già sbarcata in America. Le sue peripezie per raggiungere la pista a nord di New York sembrano tratte dal libro I viaggi di Gulliver. Quando arriva a destinazione ormai i giochi sono fatti, le monoposto pronte ma non valide, e c’è solo la corsa da disputare. Purtroppo, per i ferraristi, la gara è stata persa senza combattere, e con lei il titolo. In molti si sono chiesti come sarebbe andata con l’ingegnere modenese là, sul campo, fin dal primo giorno.
Otto anni dopo, Imola, Gran Premio di San Marino boicottato dai team inglesi ma non per questo meno valido e atteso. E con la Ferrari pronta finalmente a vincere sulla pista di casa per la prima volta. Qui succede l’inverso di Watkins Glen. Forghieri è presente alle prove ma poi, la domenica, un triste impegno familiare lo tiene lontano dal circuito del Santerno. Anche qui i libri di storia ci raccontano della “lotta” non programmata fra Gilles Villeneuve e Didier Pironi negli ultimi giri. Uno scontro evitabile che ebbe conseguenze drammatiche, ed ormai è inutile ora ricordare chi e cosa. Restano le incomprensioni ai box che poi si sono materializzate in un cartello verso i due piloti poco chiaro. Con il senno di poi, e proprio lui per primo, in tanti hanno potuto affermare senza tema di smentita che con Forghieri al muretto le cose sarebbero andate diversamente.
Due episodi fra gli infiniti della vita di un uomo unico e mai banale come è stato Mauro Forghieri, attaccato alla sua terra e a quella sterminata, e spesso sconosciuta, schiera di collaboratori che in cinquant’anni di carriera lo hanno ascoltato, seguito, a volte anche maledetto, ma sempre amato. Perché era un uomo vero, pronto a fare squadra senza ergersi a singolo. Un uomo che sapeva ben capire cosa c’era al di fuori di un autodromo dove i rumori dei motori spinti al massimo possono distogliere l’attenzione dal mondo che circonda il perimetro di una pista. Anche per questo non esitò a mettere a disposizione le sue case a chi, anni fa, era stato colpito dal terremoto nella zona di Modena, quella terra che ci ha regalato questo grande personaggio.