Sabato 5 settembre 1970, esattamente cinquant’anni fa. Pochi minuti dopo le 15, nel pieno dell’ultima sessione di qualifica a Monza per il Gran Premio d’Italia di Formula 1 , Jochen Rindt si cala nell’abitacolo della sua Lotus 72 deciso a migliorare la sua 12.ma posizione sulla griglia di partenza. Anche perché in pole c’è uno dei suoi diretti rivali nella rincorsa al titolo iridato, Jacky Ickx con la Ferrari staccato di 1”.57.
Un titolo che l’austriaco vuole ad ogni costo, tanto da accettare il rischio di correre con una Lotus, monoposto di cui non si fida molto per la tristemente nota fragilità che ha provato direttamente sulla sua pelle, quando l’anno prima in Spagna il cedimento di un alettone gli fece fare un volo pauroso costandogli la rottura setto nasale e altri danni. E Rindt era pienamente in corsa per quel titolo, davanti a tutti con un buon margine di punti di vantaggio, dall’alto delle cinque vittorie conquistate fin lì nella stagione. Un ruolino di marcia irresistibile che però gli fece pronunciare una frase ad un giornalista dell’ambiente, “quasi troppa fortna, non vorrei finisse”, che alla luce di quanto successo suona come un oscuro presagio. “Grindt”, come venne soprannominato per la sua grinta al volante, si lancia sullo stradale di Monza, ancora superveloce perché privo delle attuali chicane. Proprio per cercare di trovare velocità, la Lotus 72 era stata privata dei “baffi” anteriori e dell’ala posteriore per limitare la resistenza all’avanzamento e migliorare la velocità, seppur a scapito della stabilità, così come in precedenza per migliorare la distribuzione delle Mase Colin Chapman aveva spostato i dischi freno anteriori entrobordo, una modifica che aveva suscitato parecchi timori, confortati anche da problemi riscontrati dai piloti, circa la fragilità dei semiassi che li collegavano alle ruote. Il pilota austriaco, percorre tre giri senza migliorare il proprio tempo. Al quarto giro, probabilmente, cerca di affondare il colpo: supera Hulme al Serraglio e si lancia verso la curva Parabolica. Ma alla staccata succede qualcosa, come racconterà anche Hulme che lo seguiva: la macchina ha prima uno scarto verso destra ma poi punta decisamente contro il guard rail a sinistra, dove impatta violentemente ma con un angolo che avrebbe anche potuto avere conseguenze non così tragiche se la parte anteriore della monoposto non si fosse infilata sotto il rail, distruggendosi e scaricando una enorme forza sul pilota che, di fatto nonostante i tentativi di rianimazione, morirà sul colpo. La causa del grave incidente è imputata alla rottura del semiasse del freno anteriore sinistro, acuita dallo spazio tra la lama del rail e il terreno. Come se la dea bendata avesse davvero mollato lo sfortunato Jochen nel punto sbagliato. Il giorno dopo è un trionfo Ferrari, ma a vincere sarà il pilota “sbagliato”, Clay Regazzoni mentre Ickx che era in lizza per il titolo si ritira. Ma a far sfumare definitivamente le residue speranze del belga sarà la vittoria d Emerson Fittipaldi a Watkins Glen. Così Jochen Rindt vince, postumo, quel mondiale a cui teneva tanto. E ci piace pensare il destino beffardo abbia voluto in qualche modo sistemare le cose. Perchè Rindt quel titolo se l’è ampiamente meritato, dato che indubbiamente è stato uno dei più grandi della sua epoca, in cui i campioni non mancavano di sicuro: tra questi Clark, Hill, Stewart, Hulme, Surtees, Brabham, Ickx, Regazzoni, Siffert e tanti altri ancora. E contro tale concorrenza Rindt conquisto numerose vittorie nella combattutissima F. 2, così come vinse la 24 Ore di Le Mans 1965 in coppia con Masten Gregory.