E’ stata la 24 Ore del Nurburgring più corta della storia, 9h30’ di gara effettiva, ma di sicuro non la più semplice. Ne sa qualcosa Matteo Cairoli, che si trovava al volante della vettura di testa al momento dello stop: la 911 GT3 R “Grello” del Manthey Racing, divisa con Michael Christensen e Kevin Estre, che per la cronaca ha poi vinto la gara.
Ecco il suo racconto direttamente dall’abitacolo...
“Dal via le condizioni della pista erano già cambiate diverse volte: pioggia, sole e ancora pioggia. Poi la nebbia. Io ero in macchina da più di due ore e la Direzione Gara ha chiesto la mia opinione sulle condizioni della pista e la visibilità: certo conosciamo la pista a memoria e sappiamo esattamente dove mettere le ruote, ma se scollini in uno dei tratti veloci a 250 km/h e ti trovi una vettura in testa coda in mezzo alla pista può diventare un grosso problema. Già in condizioni normali spesso si creano problemi con vetture troppo lente, magari condotte da piloti che non sempre hanno la situazione sotto controllo. Perciò, sentito anche il parere di altri piloti, la Direzione Corsa ha ritenuto che non vi fossero le condizioni di sicurezza per continuare a correre. Poi la gara è ripartita intorno a mezzogiorno ed è stata una sorta di gara sprint”.
Dove avete mantenuto la testa della corsa…
“Si. Comunque il vero capolavoro l’ha fatto Estre nelle prime fasi di gara: siamo partiti 11.mi in griglia, perché in qualifica aveva fatto un piccolo errore con uscita di pista. Ma è partito alla grande e in breve ha portato la macchina in testa. Dai box ci siamo esaltati. Poi Christensen ed io abbiamo mantenuto la posizione. Abbiamo vinto una 24 Ore un po’ strana, ma era uguale per tutti”.
Per la cronaca, alle loro spalle, staccata di soli 8”, è giunta la BMW M6 GT3 #98 di De Phillippi-Tomczyk-S. van der Linde-Wittmann, seguita a 49” dalla Mercedes GT3 di Gotz-Juncadella-Marciello.
Quindi grande soddisfazione, perché questa rimane una gara mitica per tutti gli appassionati e molto importante anche per le Case, vero?
“Ci voleva. Quest’anno, alla quinta 24 Ore, mi ero prefissato di fare qualcosa in più. Negli anni passati ci sono state delle soddisfazioni, come nel 2019 quando abbiamo vinto la categoria Pro-AM con il 4° posto assoluto, ma per un motivo o l’altro non era mai girata per il verso giusto. Insomma mi sembrava di essere l’eterno secondo e non riuscire mai a chiudere il cerchio. Invece finalmente adesso posso dire di avere compiuto l’opera. Ed esserci riuscito con il team Manthey, la macchina ufficiale e compagni di alto livello è davvero una bella sosddisfazione”.
Insomma, tanta roba?
“Si. Super. Perchè per me vale più di una vittoria a Le Mans o Spa, pur essendo anche loro circuiti importanti. Però, al Nurburgring, quando finisci un giro sei contento. Perché non sai mai cosa può succedere. Per le bizze del meteo, con il sole sul traguardo mentre dall’altra parte del tracciato piove, e per le insidie di un tracciato così lungo e vario. Un insieme di cose che provi solo sul Nordcshleife. E’ un sogno che si è realizzato e devo ancora metabolizzarlo completamente”.
Hai festeggiato?
“Non c’è stato molto tempo per festeggiare, perché avevo il volo di rientro lunedì mattina presto. Quindi giusto una birretta con i ragazzi del team. Poi giovedì parto per Portimao (per il 3° round WEC), quindi devo stare tranquillo e concentrato. Ma un prosecchino con gli amici magari me lo faccio”.
Com’è la vita in un team così blasonato e come ti trovi con la mentalità tedesca?
“Indubbiamente c’è un po’ di pressione, ma ormai mi sento a casa. Soprattutto grazie al rapporto con il boss, Olaf Manthey. E’ un omone piuttosto burbero, perciò al primo impatto incute un certo timore. Logicamente sono molto esigenti, perché abituati a lavorare con professionisti di alto livello, perciò al nostro primo incontro ero piuttosto in ansia: ero ancora un ragazzino, per giunta italiano, quindi pensavo ci potessero essere dei pregiudizi, invece c’è stata un’intesa immediata. Ormai posso dire che lo considero uno zio. Ho molta stima per quella persona, perciò sono davvero contento di avregli dato questa ennesima soddisfazione. E’ un rapporto davvero bello, perché anche lui ha molta stima in me e anche quando ho commesso qualche errore non è mai stato duro, colpevolizzandomi, cercando invece di farmi capire il perché dell’errore in modo da non ripeterlo”.
Hai corso anche per altri importanti, il Manthey fa la differenza sul Nordschleife?
“Il team sicuramente fa la sua parte, anche grazie alla sua esperienza (quest’anno festeggia il 25°). Credo sia il più preparato su quella pista, d’altronde sono praticamente a casa perché la sede è vicino al circuito, perciò hanno una mole di dati incredibile e sanno come intervenire al meglio in ogni situazione”.
E poi la nuova Porsche 911 GT3 R pare migliorata rispetto alla precedente versione?
“Innanzitutto è migliorata a livello di ergonomia, più comoda da guidare e come disposizione dei comandi, cosa molto importante per il pilota. Inoltre lo sterzo è più sensibile e preciso, c’è maggiore aerodinamica ed più “cattiva” in frenata. Insomma, aiuta molto di più. Poi la macchina di Manthey è perfetta. Ti dà sicurezza in ogni tipo di condizione”.
Ora, dopo la gara portoghese in programma nel fine settimana a Portimao, il 25.enne comasco, da sei anni pilota ufficiale Porsche, attende con impazienza la gara di casa del WEC, a Monza il 18 luglio.