Testo e foto di Massimo Campi
Dalla 500 Miglia di Indianapolis atterra in Formula 1 la storia della monoposto con un motore d’aereo a reazione. Si tratta della Lotus T56B, che a distanza di mezzo secolo è tornata a Monza, in occasione dei cent’anni dell’Autodromo e dei cinquanta del titolo iridato di Fittipaldi, dove corse il Gran Premio d’Italia 1971 pilotata proprio dal campione brasiliano. Nell’occasione, invece, al volante c’era Johnny Herbert.
“Ci vorrebbe la potenza di un motore a reazione per battere i 12 cilindri”. Questo il pensiero che rimbalza nella testa di Colin Chapman quando inizia a farsi strada nella sua mente l’idea di utilizzare un motore d’aereo su una sua monoposto. Un’idea che in realtà ha radici che risalgono alla più famosa corsa al mondo che si disputa sul catino dell’Indiana. Per capire la nascita, e la breve storia, della Lotus T56B del 1971, bisogna fare un salto indietro di qualche anno, ma sopratutto dall’altra parte dell’oceano.
La storia della Lotus 56 nasce da tale Ken Wallis, lontano parente di Barnes Wallis, passato alla storia per aver progettato il bombardiere inglese Vickers Wellington e le bombe Grand Slam, Tallboy (due fra le più grosse bombe a caduta libera mai create dall’uomo) e le famose bombe rimbalzanti con cui distruggere le dighe tedesche. Nella mente di Wallis si materializza l’idea di montare su una macchina da corsa una turbina da elicottero. A metà degli anni ’60 il tecnico presenta il progetto a Dan Gurney e a Carrol Shelby, che si dimostrano scettici all’idea, ma a crederci e a metterlo in pratica ci pensa il vulcanico patron della STP Andy Granatelli che, con l’aiuto del fratello Joe, realizza l’idea di Wallis. Nasce così la STP Paxton Turbocar, sviluppata a partire dal gennaio del ’66 presso la divisione Paxton della STP a Santa Monica. La monoposto ha la trazione integrale con la turbina Pratt & Wythney ST6B montata a sinistra e l’abitacolo del pilota sulla destra della struttura a trave del telaio.
Dopo un primo test a Phoenix, Parnelli Jones è pronto a portare in gara la monoposto alla 500 Miglia di Indianapolis del 1967. La macchina, verniciata di rosso è sesta in prova, al via è molto veloce, Parnelli Jones conquista la testa della gara e inizia a distaccare gli inseguitori fino a quando la rottura di un cuscinetto della trasmissione mette fine al suo sogno. I tempi sul giro sono notevoli, le prestazioni messe in mostra dalla Paxton Turbocar convincono Granatelli a proseguire l’avventura con la monoposto a turbina. Non solo, il manager ameriano incontra Colin Chapman e tra i due nasce subito un accordo e un nuovo progetto denominato Lotus 56.
Il progetto è affidato a Maurice Philippe, il papà della Lotus 49 e della Lotus 72. La Lotus 56 nasce con la stessa forma a cuneo che verrà poi utilizzata anche sulla 72 e viene equipaggiata dalle stessa turbina della STP-Paxton ulteriormente evoluta in ossequio alle nuove norme regolamentari imposte dalla federazione americana, la USAC, allarmata dall’escalation a livello di competitività di questi motori. La turbina Pratt & Wythney ST6B-70 viene però montata in posizione centrale alle spalle del pilota e girata rispetto al senso di marcia.
La Lotus 56 monta pneumatici Firestone di uguali dimensioni sulle quattro ruote. Purtroppo l’esordio della nuova monoposto si conclude con il dramma di Mike Spence, che perde la vita durante le prime prove sul catino dell’Indiana. Le tre monoposto rimaste vengono affidate a Graham Hill, Joe Leonard, Art Pollard, per le qualifiche della 500 Miglia di Indianapolis. La Lotus 56 riesce a sfruttare tutta la potenza della sua turbina: Leonard parte in pole, Hill al suo fianco, mentre Pollard è solo undicesimo. Anche questa volta il motore a turbina non ha fortuna: Hill è messo fuori gioco da un incidente a metà gara, mentre Leonard viaggia indisturbato al comando verso la vittoria quando, a nove giri dalla bandiera a scacchi, è costretto al ritiro a causa del grippaggio dell’alberino della pompa del carburante. Stessa sorte per la vettura gemella di Pollard, anche lui afflitto da un guasto tecnico.
Comunque il potenziale messo in mostra dalla Lotus 56 impressiona il pubblico ed i tecnici presenti, tanto che alla fine del 1968 la USAC interviene nuovamente dando un altro giro di vite ai regolamenti riguardanti le vetture alimentate da un propulsore a turbina. L’avventura americana della Lotus 56 è ormai finita, Colin Chapman decide di non impegnarsi più nello sviluppo della macchina, che viene momentaneamente accantonata. Il 1968 è un anno complicato e dai duplici risvolti per il team britannico, che da una parte deve fare i conti con i drammi di Jim Clark e di Mike Spence, mentre al tempo stesso vive una stagione di grandi soddisfazioni con la conquista del titolo mondiale Piloti, con Graham Hill oltre a quello Costruttori.
Nella stagioni seguenti Colin Chapman si dedica alle monoposto della massima formula, con la Lotus 72 conquista il titolo mondiale nel 1970, ma il genio inglese non vuole fare morire l’idea di una monoposto spinta da un motore a turbina. Nel 1971 ripesca la Lotus 56 e la adatta alle specifiche della massima formula. La turbina della Lotus T56B sprigiona oltre 600 cv, una potenza superiore ai migliori 12 cilindri della massima formula, scaricata a terra grazie alla trazione a quattro ruote motrici. Inizialmente la Lotus T56B è priva di alettoni, ma dopo i primi test vengono aggiunte delle appendici alari sia all’anteriore che al posteriore. Un altro vantaggio aerodinamico è l’assenza di superfici radianti per il raffreddamento del motore, oltre al fatto che la turbina Pratt & Whitney, alimentata a kerosene, è sempre posizionata alle spalle dell’abitacolo. La configurazione a doppio stadio, con un regime di rotazione costante di 40.000 giri, è dotata di un demoltiplicatore integrato dentro al motore, nella parte anteriore, che trasferisce il moto all’albero di trasmissione.
La turbina, come nella versione americana, è girata rispetto al senso di marcia, e l’aria di alimentazione è convogliata dalle grandi prese aperte nella zona superiore delle fiancate, che indirizzano il flusso in coda al motore. Dopo la combustione i gas risalgono e vengono espulsi da una presa di sfogo munita di pinne orientata verso il retrotreno.
Il telaio della T56B è una classica monoscocca in lamiera di alluminio con i freni entrobordo montati accanto ai differenziali. La frenata, con i dischi freno raffreddati attraverso varie prese che scaricano l’aria calda sopra la carrozzeria, risulta uno dei grossi problemi della monoposto inglese, che oltre a non poter contare su alcun freno motore accusa un peso notevole a causa dei serbatoi da 320 litri di carburante. Il motore a reazione prevede anche l’assenza di cambio e di frizione, quindi il pilota ha solamente due pedali con la possibilità di frenata con il piede sinistro. Un altro problema sono i tempi di riposta del propulsore, decisamente più lunghi rispetto ad una monoposto convenzionale con il motore a scoppio. Il pilota, per avere una adeguata accelerazione in uscita dalle curve, è costretto ad anticipare l’erogazione di potenza, perciò in entrata di curva deve guidare dosando contemporaneamente freno e acceleratore con ulteriore stress all’impianto frenante.
La Lotus T56B viene portata in pista nel 1971 da Emerson Fittipaldi nella Race of Champions e nell’International Trophy, entrambe gare fuori campionato. A Brands Hatch, durante le prove libere sul bagnato, la 56 risulta di gran lunga l'auto più veloce in pista, ma la gara si svolge su asfalto asciutto e la 56B non può sfruttare il vantaggio della trazione integrale. Mentre a Silverstone la monoposto resiste solo tre giri della manche iniziale prima che un guasto alla sospensione costringe Fittipaldi al ritiro.
A Zandwoort, nel Gran Premio di Olanda, avviene l’esordio ufficiale nel Campionato Mondiale di Formula 1. A sedersi nell’abitacolo della 56B Colin Chapman è il trentenne di Sidney, Dave Walker, al suo esordio nella massima formula. L’australiano è solo ventiduesimo in prova, con un distacco di oltre quattro secondi dalla Ferrari di Jacky Ickx. La domenica il maltempo imperversa sulla pista, la Lotus può sfruttare la potenzialità della trazione integrale e del vantaggio delle gomme Firestone molto più performanti sulla pista bagnata rispetto alle GoodYear. Walker parte alla grande, dopo cinque giri è già decimo, ma esce di pista infrangendo il sogno di Chapman di poter salutare il trionfo della sua nuova strana creatura. Nel GP di Inghilterra, a Silverstone, è Reine Wisel a portare in gara la Lotus a turbina: solo diciannovesimo in prova, in gara lo svedese deve abbandonare al cinquantasettesimo giro per noie meccaniche.
L’ultima presenza nel Mondiale Formula 1 avviene a Monza, dove Chapman iscrive solo una monoposto sotto le insegne del team World Wide Racing, a causa delle pendenze di Chapman con la giustizia italiana in seguito alle indagini sulla morte di Rindt avvenuta dodici mesi prima alla Parabolica. La Lotus T56B, pilotata da Emerson Fittipaldi, ha una insolita livrea dorata e nera. Anche a Monza, pista veloce e, teoricamente, ideale per la vettura a turbine, le sorti della 56B non sono molto differenti rispetto alle gare precedenti. Il brasiliano è diciottesimo in qualifica, ma almeno riesce a vedere la bandiera a scacchi seppure in ottava posizione su dieci vetture classificate e staccato di un giro dal vincitore Peter Gethin su BRM.
L’ultima apparizione in assoluto della T56B avviene ad Hockenheim, in una gara di Formula 5000, sempre con Fittipaldi alla guida. Il pilota di San Paolo riesce a portare la monoposto a turbina sul secondo gradino del podio regalando così l’unico podio alla creatura di Chapman. Con i nuovi regolamenti della FIA viene bandito il motore a turbina dalla massima formula e per la Lotus T56B c’è solamente la strada verso il museo della Casa, dal quale viene in seguito recuperata per partecipare ad eventi storici a testimonianza di quando, nella massima formula, c’era ancora spazio per la fantasia e soluzioni tecniche alternative.
Immagini ©Massimo Campi