Nei primi anni della storia Ferrari la maggior parte delle vetture stradali era realizzata in serie limitata. Solo verso la fine degli anni Cinquanta fu possibile iniziare una produzione in serie più consistente. L’ultimo modello prodotto in serie limitata fu la 365 California, negli anni 1966-67. La GTO, presentata al Salone di Ginevra del 1984, anticipò il ritorno delle produzioni di serie realizzate in piccoli volumi.
Inizialmente, l’obbiettivo non era quello di fornire ad un ristretto numero di clienti selezionati un mezzo di trasporto esclusivo, ma quello di produrre le 200 unità necessarie ad ottenere l’omologazione per le competizioni del Gruppo “B”. Però le regole sportive furono oggetto di variazione e la Ferrari si trovò ad avere in casa una vettura orientata alle competizioni senza un campionato dove farla correre.
Tuttavia, non ci fu molto da preoccuparsi: al salone di Ginevra la vettura creò un effetto talmente sensazionale che il numero di esemplari previsti per la produzione fu venduto sulla carta in brevissimo tempo. In effetti c’erano più compratori che automobili disponibili, così il totale delle vetture realizzate alla fine della produzione toccò le 272 unità. Il modello fu costruito tra il 1984 e il 1986, con numeri di telaio in cifre dispari compresi tra il 52465 e il 58345. Naturalmente, se avessero voluto, a Maranello avrebbero potuto costruirne, e venderne, molte di più, ma a scapito dell’esclusività. Infatti, ancora oggi la GTO rimane un’autentica icona tra gli appassionati, innanzitutto per prestazioni e fascino eterno, e tra le più ricercate dai collezionisti, con quotazioni, queste si determinate dal numero limitato delle vetture costruite, decisamente elevate.
La denominazione ufficiale dell’automobile fu solamente GTO, anche se molti appassionati la identificarono come “288 GTO” per differenziarla nelle conversazioni dal modello 250 GTO, poiché anche quest’altra vettura, che fa parte del mito Ferrari, spesso veniva chiamata semplicemente GTO. La definizione 288 fa riferimento alla cilindrata totale del propulsore e al suo numero di cilindri: 2,8 litri con otto cilindri. Ovviamente il nome GTO dato al nuovo modello era un tocco retrò che faceva riferimento alla leggendaria 250 GTO dei primi anni Sessanta: la nuova nata era infatti da considerarsi la sua erede spirituale nelle corse riservate alle vetture GT, progetto in seguito abortito.
La GTO fu il vero punto di partenza della “Sindrome delle Supercar”, dimostrando l’esistenza di un mercato per produzioni di piccole serie di vetture sportive con prestazioni estreme, vendibili quasi a qualunque prezzo. Prima di essere ritirate dai loro proprietari, infatti, numerose GTO videro il loro contratto di acquisto passare di mano, spesso più di una volta, con lauti profitti per il venditore. Pertanto, nei rimanenti anni Ottanta, si sviluppò una reazione a catena che coinvolse anche i modelli più “popolari”. Nuovi veicoli furono introdotti da vari Costruttori, ansiosi di appropriarsi di una fetta della torta, e ben presto il mercato delle auto classiche e sportive fu coinvolto in una forte spirale di prezzi al rialzo. Prezzi che, ovviamente, arrivati ad un certo punto non poterono far altro che scendere.
La GTO fu in grado di catturare l’immaginario dei compratori, anche se sotto il profilo estetico non era molto diversa dai più diffusi modelli a otto cilindri commercializzati in quel periodo. In effetti, al primo impatto poteva sembrare una 308 sottoposta ad una cura di steroidi anabolizzanti, con parafanghi più bombati, un assetto più basso e spoiler più grandi.
Le modifiche le diedero un aspetto più aggressivo ma non si trattava di sola apparenza perché sotto il cofano c’erano abbastanza cavalli per garantire delle prestazioni elevatissime, che ben si abbinavano alla silhouette muscolosa. Infatti, anche se erano esteticamente simili sia all’esterno che all’interno, ed erano entrambe spinte da motori V8, non c’erano altre similitudini tra la GTO e la serie 308.
Il design
Pur essendo ispirata alla silhouette della serie 308, la GTO ne condivideva pochissimi elementi: il telaio era più lungo, il motore era montato in posizione centrale e longitudinalmente, e la maggior parte dei pannelli della carrozzeria erano realizzati in materiale composito o forme in resina. A livello visivo le maggiori differenze erano rappresentate dai parafanghi anteriori e posteriori più bombati, e sulla parte terminale di questi ultimi erano presenti tre sfoghi verticali per l’aria, un richiamo ai parafanghi anteriori della 250 GTO degli anni Sessanta.
Lo spoiler anteriore più profondo ospitava due coppie di fari rettangolari poste alle estremità della griglia per il radiatore, mentre la coda aveva uno spoiler con un labbro più pronunciato e gli specchietti retrovisori erano fissati sugli sportelli tramite alti supporti. Anche il cofano motore, ricco di sfoghi per l’aria, era vincolato al pannello di coda, invece di avere le cerniere sotto il lunotto come nei modelli 308. Il motore montato in posizione centrale longitudinale era un V8 a 90 gradi: per ottimizzare la distribuzione dei pesi, però, il suo lato anteriore risultava così vicino alla cabina abitacolo da richiedere un accesso sulla paratia per rendere possibili gli interventi di manutenzione.
Questo fu il primo propulsore V8 montato longitudinalmente su una Ferrari stradale di serie ed il primo dotato di due turbocompressori. La cilindrata totale di questo motore, il cui numero di riferimento interno era F 114 B 000, era di 2855 cc, con alesaggio e corsa di 80x71 mm, rapporto di compressione pari a 7,6:1, aveva quattro valvole per cilindro, doppio albero a camme in testa per bancata ognuno con la sua cinghia dentata, lubrificazione a carter secco, due turbocompressori IHI e l’aria per l’aspirazione era convogliata attraverso una coppia di intercooler Behr con una pressione a 0,8 bar.
Il tutto, abbinato a un sistema integrato per l’accensione e l’iniezione Weber Marelli IAW, generava una potenza dichiarata di 400 CV a 7.000 giri/min. Il differenziale era montato dietro al motore, in un blocco assieme al cambio sincronizzato a cinque velocità, dotato di coperchio rimovibile per facilitare la sostituzione dei rapporti, un retaggio degli intenti originari che prevedevano l’impiego nelle competizioni.
I corpi vettura erano assemblati su un telaio con un passo di 2450 mm, 110 mm in più rispetto ai modelli 308, ma la lunghezza totale era minore di 5 mm, grazie ad uno sbalzo posteriore più ridotto. Il telaio aveva numero di riferimento interno F 114 AB 100 e la costruzione seguiva il tipico principio Ferrari del telaio tubolare in acciaio con bracci incrociati, abbinato a sottostrutture che sostenevano il motore, le sospensioni e gli equipaggiamenti accessori, che comprendevano un roll bar di sicurezza nell’abitacolo.
Le ruote in lega di magnesio Speedline furono realizzate appositamente per questo modello, avevano la consueta forma di stella a cinque punte e i cerchioni scomponibili da 8JX16” all’anteriore e 10JX16” al posteriore, con bullone di fissaggio centrale di tipo Rudge. L’impianto frenante era dotato di doppio circuito idraulico, dischi autoventilati e servoassistenza. Le sospensioni erano indipendenti con bracci tubolari in acciaio, molle elicoidali, ammortizzatori idraulici e barre antirollio anteriori e posteriori.
Un sotterfugio del marketing recitava: “Potete avere la vettura in qualunque colore vi piaccia, a condizione che vi piaccia il rosso!” Per gli interni, invece, i clienti avevano una scelta leggermente superiore a quella del colore della vernice esterna: si potevano scegliere sedili di pelle totalmente neri o, in alternativa, con la seduta arancione in tessuto.
A richiesta erano disponibili i vetri elettrici, l’impianto di condizionamento e un apparecchio radio.