Vogliamo ricordare un autentico signore delle corse, prima nei panni di pilota e poi di team manager, che si è spento a 84 anni, riproponendo una intervista raccolta dieci anni fa che contribuisce a tracciare un ritratto della persona.
Ha corso anche con vetture di altre marche, e ha pure lavorato per la Pirelli in F. 1, ma la sua carriera è indubbiamente targata BMW. Per quattro decenni, fino a due anni fa, Umberto Grano ha gestito l'attività sportiva della filiale italiana di Monaco, prima in veste di pilota e poi da team manager, conquistando successi e titoli a raffica. Ci racconta dei personaggi con cui ha lavorato, dei piloti con cui ha corso e che ha gestito e, dopo trent'anni, ci rilascia anche una confessione da pilota.
Partiamo con una importante, e per certi versi clamorosa, premessa. Perchè i piloti sono come dei pescatori, ma al contrario. Nel senso che ad ogni racconto dei pescatori la preda magicamente si allunga, mentre al contrario per ogni pilota con il passare del tempo il crono sul giro si abbassa e le posizioni conquistate avanzano. Forse, in alcuni casi la memoria vacilla, ma guarda caso quasi sempre a favore, oppure più probabilmente è l'orgoglio personale che contribuisce ad “aggiustare” l'albo d'oro. Insomma, fa un po' parte del gioco, perchè ogni pilota almeno agli inizi si sente il migliore salvo poi dover prendere atto che, magari, non è sempre così. Anche perchè, poi, carta canta! Invece dobbiamo dare atto a Umberto Grano che, nonostante un palmarès a dir poco pesante, molto onestamente ci ha confessato, come potete leggere più avanti, di non considerarsi un campione in assoluto ma “solamente” un bravo pilota e un valido manager.
Nel suo palmarès personale, infatti, spiccano tre allori europei, conquistati con tre diversi modelli della casa bavarese: 1978 con la 3.0 CSL; 1981 con la 635 Csi, 1982 con la 528i. Ma soprattutto, in Italia, Umberto Grano è stato uno dei primi veri professionisti del volante con le ruote coperte.
Non ha mai fatto un pensierino alle monoposto?
“No. Ho iniziato abbastanza tardi a correre, a 23 anni, e nel Turismo ho trovato la mia strada”
Com'è nata la passione e come ha cominciato a correre?
“Verrebbe quasi da ridere se pensiamo che io sono veneziano e vengo da una famiglia che non aveva neppure l'automobile. Ma la passione per le macchine da corsa l'ho avuta fin da piccolo. A sette anni, al Lido di Venezia, assistetti a una gara dove correvano Nuvolari, Taruffi, Farina e altri. A 13 anni, andai sul percorso della Mille Miglia per vedere le Ferrari, di cui sentivo tanto parlare. Poi ho avuto la fortuna di avere un aiuto dalla Scuderia San Marco per iniziare a correre, nelle salite; gare pericolose, ma allora molto seguite come la Trento-Bondone o la Trieste-Opicina”.
Dove debuttò?
“Alla Agordo-Frassenè nel 1963. Mi classificai 3° con la mia Abarth 1000, arrivando da Venezia con la macchina su strada, come era uso una volta. Infatti ho cominciato a sentirmi un professionista quando, nel '67, attaccai alla Giulia Super il carrello con sopra la Abarth 1000 da corsa. Nel 1970 disputai il primo Campionato Europeo, classificandomi 2° e vincendo la categoria alla 24 Ore di Spa con la macchina ufficiale Abarth, insieme a Johann Abt”.
Beh, correre da ufficiale per Abarth significava aver raggiunto già un bel traguardo...
“Il braccio destro di Abarth, Dr. Avidano, mi aveva anticipato che mi tenevano d'occhio già alla Trieste-Opicina del '67, dove arrivai dietro a Merzario”.
Abarth aveva fama di essere bello tosto, come lo ricorda?
“Beh – e sorride -, mi cacciò fuori dall'ufficio perchè dopo aver corso la 24 Ore di Spa nel '70 osai chiedergli un compenso; mi disse che era già troppo il rimborso spese”.
Per questo l'anno dopo cambiò squadra?
“No. Nel '71 e '72 ebbi l'opportunità di correre con la Scuderia Filipinetti, anche se la 128 Sport 1.3 non poteva
certo competere contro la GTA. Comunque fu una bella esperienza”.
Poi, dal 1973 al 1977 Umberto Grano si divise tra Ford Escort, RS 1800 e Cosworth BDA Gr. 5, e Alfa Romeo GTV 2000 con le quali corse soprattutto gare di lunga durata come le 24 Ore di Spa, nello squadrone Autodelta.
Anche Chiti non aveva certo fama di essere un tipo facile, vero?
“Aveva una grande personalità. Era un vulcano di idee, un genialoide. Ma purtroppo doveva dedicare troppo tempo alle faccende politiche”.
Quindi, dopo alcune gare nel 1977 con la 3.0 CLS Gr. 5, dal 1978 è cominciato il lungo matrimonio con la BMW?
“Si. Con BMW ho corso a tempo pieno fino al 1984. Nei due anni successivi corsi solo saltuariamente, perchè lavoravo come consulente per la Pirelli in F. 1”.
Qual'era il suo ruolo?
“Seguivo la parte marketing. A capo del motorsport c'era l'Ing. Mezzanotte mentre l'ing. Turchetti si occupava della parte tecnica. Il mio compito era quello di tenere i contatti con piloti e scuderie. Sono io che ho portato le Pirelli alla Brabham, facendo la corte per un anno e mezzo a Ecclestone”.
Come ci riuscì?
Grano sorride e fa un gesto molto eloquente, strofinando pollice e indice, poi racconta. “Nel luglio 1983 conobbi Ecclestone a Hockenheim. L'impatto con la F. 1 non fu semplice ma fu una bella esperienza che mi diede modo di stringere molte amicizie nell'ambiente; in particolare ricordo Piquet, Laffite, ed i team ATS e Ram. E nel frattempo riuscivo ancora a fare qualche gara, magari facendo i salti mortali. Una volta ero in Inghilterra a provare le gomme, mi telefonò Mezzanotte dicendomi che avevo un appuntamento a cena con Ecclestone per la sera successiva, a... Kyalami! Neppure il tempo di digerire ed ero di nuovo sull'aereo di ritorno per Vallelunga, dove partecipavo ad una gara dell'Europeo”.
Come descriverebbe Bernie Ecclestone?
“Un uomo molto affascinante. Nell'ambiente si diceva che fosse in grado di incantare anche i serpenti, ed i risultati credo parlino chiaro. Ha saputo creare un business eccezionale, senza pari nel mondo dello sport”.
Com'è nato il rapporto con BMW?
“Nel 1977 mi chiamò l'allora direttore marketing di BMW Italia per chiedermi se volevo correre con BMW. Oltre a pilotare mi sarei occupato di creare e gestire l'intero programma sportivo, individuando i team ai quali appoggiarci tecnicamente: iniziammo l'anno successivo col Team Luigi, poi passammo a Joosen e infine a Eggenberger, che considero il migliore tra i team con cui abbiamo lavorato. Io ho sempre amato le BMW, perchè nel tempo ho visto che sono macchine molto valide dal punto di vista tecnologico. Inoltre abitavo a Verona, dove c'è anche la sede di BMW Italia, quindi è iniziato un bellissimo rapporto proseguito per 36 anni. Credo si tratti di un record”.
In tutti questi anni come si è trovato a lavorare con i tedeschi?
“Ho avuto a che fare con tanti responsabili motorsport a Monaco, persone molto valide con cui ho avuto sempre buoni rapporti. Ma in realtà io ho sono sempre stato più legato a BMW Italia, perchè ho sempre pensato che una volta appeso il casco al chiodo avrei gestito il programma sportivo. Parliamoci chiaro, io non sono mai stato un campione. Nel senso che non sono mai stato un pilota velocissimo, ma bravo si, perchè mi cercavo il miglior team, i migliori copiloti e soprattutto sapevo gestire la macchina sempre al meglio. Magari in prova beccavo due decimi da Kelleners, però portavo sempre la macchina al traguardo. Perciò, in definitiva, mi reputo un pilota vincente. Anche perchè ero molto sensibile e con la pioggia mi sono preso delle belle rivincite”.
Lei ha corso e vinto un titolo europeo con ognuno dei diversi modelli BMW dell'epoca, 3.0 CSL nel '78, 635 nell'81 e 528i nell'82, qual'era il suo preferito?
“Senz'altro la 3.0 CSL, una macchina nata per le corse. Ma la mia preferita in assoluto rimane la M1, una macchina stupenda. Aveva 500 cv per 900 kg di peso, ed era estremamente facile da guidare”.
Ha guidato anche la Porsche 956, come la ricorda?
“L'esatto opposto della M1. Nell'83 mi chiamò Brun per correre una gara a Kyalami con Stuck, trovai una macchina veramente difficile e faticosissima da guidare, perciò il discorso si chiuse lì”.
Però, con altre vetture, le sarebbe piaciuto correre ancora nei prototipi?
“Certamente. Ho sempre ammirato i piloti forti con i prototipi, che allora avevano un ruolo importante nel motorsport. Ma ormai avevo un'età che suggeriva di smettere con le corse e poi si aggiunse l'impegno Pirelli in F. 1. Infatti, nell'86 disputai a Silvesrtone l'ultima gara della mia vita. Dopo di che non sono mai più salito su una macchina da corsa”.
Negli anni successivi fu sempre a contatto con le corse, non le è mai venuta la voglia di mettersi nuovamente al volante?
“Mai. Avevo chiuso un capitolo e aperto un altro, quello della gestione dell'attività sportiva BMW Italia, che in realtà avevo già in mente da un po' di tempo. Un'attività molto appagante, perchè allora le vendite viaggiavano fortissimo e quindi c'era margine per supportare un'attività sportiva ad alto livello”.
Perciò anche le autostoriche non le interessano?
“No. Ho trascorso un periodo molto bello della mia vita correndo, poi uno altrettanto bello gestendo i programmi sportivi. Adesso sono tranquillo. Mi piace ancora vedere le gare di F. 1 o venire ogni tanto alle gare Turismo o GT, dove ho occasione di ritrovare con piacere tanti ex collaboratori, ma in modo rilassato”.
Come team manager ha gestito parecchi piloti, quali ricorda particolarmente?
“Emanuele Pirro era il più veloce in qualifica. Johnny Cecotto un autentico mastino in gara. Roberto Ravaglia il miglior stratega in gara, soprattutto in quelle lunghe. Con noi ha corso anche Alex Zanardi e credo non ci siano parole per descrivere la forza di volontà che ha avuto per riprendersi dal terribile incidente e tornare a ottenere risultati sportivi eccezionali”.
Prima ancora, però, ha corso con molti piloti forti, chi l'ha impressionato di più e con chi ha trovato il migliore feeling?
“Ho corso molto con Helmut Kelleners, che era velocissimo anche con i prototipi e le Can Am, perciò con lui ho trovato un'intesa particolare. Tra gli altri ricordo in maniera particolare alcuni specialisti di vetture Turismo come John Fitzpatrick, Toine Hezemans e Tom Walkinshaw, ma un pilota che mi aveva davvero impressionato era Markus Hoettinger, che sarebbe certamente diventato un campione se non avesse trovato la morte a soli vent'anni in F. 2. Disputai anche una gara a Silverstone con Gunnar Nillson, che già correva in F. 1, e oltre che molto bravo lo ricordo come un ragazzo affabile”.
Quando correva lei le gare Turismo erano soprattutto endurance, cosa ne pensa di quelle attuali del WTCC?
“Gare di 20 minuti fanno un po' ridere. Ma le esigenze televisive chiedono questo format”.
Peraltro ai sui tempi si correva anche su piste pericolosissime, quali ricorda in particolare?
“Non si può immaginare cosa volesse dire correre su tracciati come quelli vecchi di Brno o Spa, passando a 220 all'ora in mezzo alle case con la strada che in alcuni punti era larga meno di tre metri. Cose folli, ma al tempo stesso sensazioni stupende. A Brno, dove ho vinto tre volte, ricordo che Stuck era l'unico che aveva il pelo di attraversare il paese in pieno, ma così finiva per scomporsi ed io che mollavo leggermente e poi riacceleravo appena fuori dal paese lo raggiungevo nuovamente. Lo stesso vale per il vecchio Nurburgring, un circuito strepitoso sul quale si corre ancora adesso. Li metterei tutti e tre sono sullo stesso piano”.
Ha collezionato tante vittorie, gliene è mancata qualcuna in particolare?
“In effetti ce n'è una che ancora adesso mi rimane qua: quella che ci sfuggì nel 1980 al Nurburgring, per colpa mia. Eravamo primi, con la 635 CSi, e nel mio turno mi dimenticai di accendere la pompa dell'olio, così grippammo il motore. Non l'ho mai detto”.
Qualche altro rimpianto?
“No. Perchè sono abituato a guardare sempre avanti. Anche adesso che ho 74 anni”.