La Formula Italia, che quest’anno compie 50 anni, è stata la prima categoria propedeutica monotipo nazionale, rivelandosi una formidabile fucina di campioni nostrani poi saliti ai vertici dell’automobilismo. Questo grazie ai costi abbordabili, che hanno consentito a tanti giovani piloti di formarsi e mettere in mostra le proprie doti, frutto di un progetto intelligente firmato da Carlo Abarth. Abbiamo provato, in pista a Castelletto di Branduzzo, la monoposto SE025 di KAA Racing, vediamo com’è fatta e come va (video a questo link).

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Di Eugenio Mosca – Foto Dario Pellizzoni  

Cinquant’anni fa prendeva il via la “Formula Italia”. Denominazione che, sulle prime, poteva quasi sembrare uno slogan politico populista. E in un certo qual modo potremmo dire che lo fosse, perché in effetti questa “etichetta” racchiudeva un progetto nazionale… ma sportivo. La Formula Italia fu infatti la prima categoria propedeutica nazionale promossa dalla CSAI (Commissione Sportiva Automobilistica Italiana) per formare e lanciare i giovani piloti nostrani, con un limite massimo di età di accesso fissato a 26 anni, verso le categorie di vertice dell’automobilismo sportivo. Per questo obbiettivo la filosofia fu quella di realizzare una monoposto semplice ed economica, come costo di acquisto e di gestione, ma formativa e uguale per tutti in modo tale da evidenziare, prima di tutto, il talento del pilota.

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Missione compiuta!

Obbiettivo centrato. Perché la Formula Italia negli otto anni di attività, dal 1972 al 1979, ha consentito a tanti ragazzi di iniziare a correre in auto,  tanto che nel corso delle stagioni si arrivò a disputare ben tre batterie di qualificazione alla finale, potendosi mettere in mostra a livello nazionale e favorendo così il lancio di una generazione di campioni che culminò negli anni ‘80 con la più folta pattuglia di piloti nostrani presenti in Formula 1. Tanto per fare dei nomi, in ordine sparso: Giorgio Francia, Riccardo Patrese, Michele Alboreto, Siegfried Stohr, Beppe Gabbiani, Bruno Giacomelli, Gianfranco Brancatelli, Piercarlo Ghinzani e tanti altri ancora che arrivarono poi alla Formula 1 o, comunque, corsero da professionisti in altre categorie come F. 2, Prototipi o Gran Turismo.

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Firmata Abarth

La monoposto di Formula Italia, denominata SE025 (dove SE sta per “Studio Esperimentale”), fu l’ultimo progetto al quale partecipò attivamente il geniale Carlo Abarth, come ci spiega poi Sergio Seccatore che partecipò alla progettazione disegnando la monoposto e tutte le componenti con la supervisione di Mario Colucci.

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La SE025 aveva un telaio tubolare a traliccio in acciaio, con carrozzeria in vetroresina, sul quale era montato il motore quattro cilindri 1.600 cc bialbero della Fiat 125 S, che dotato di scarico libero quattro in uno e due carburatori doppio corpo Weber 40 arrivava ad erogare 115 CV a 6.500 giri/min. Una potenza che potrebbe sembrare limitata, ma abbinata al peso di soli 470 kg (a secco) consentiva alla monoposto di raggiungere i 200 km/h.

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Il cambio, a cinque rapporti sincronizzati, era quello della Lancia Fulvia HF, dotato di differenziale autobloccante meccanico.

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Le sospensioni erano a bilanciere, sia all’anteriore che posteriore, con il gruppo molla-ammortizzatore interno e barre antirollio. I quattro montanti portamozzo derivavano da quelli della A111. 

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L’impianto frenante utilizzava i dischi freno da 227x10 mm derivati dalla Fiat 125, abbinati a pinze a pompante singolo sempre di derivazione Fiat, con doppie pompe freno e bilanciere sulla pedaliera per la ripartizione della frenata sui due assi. Anche i cerchi ruota, in lega, provenivano da modelli di produzione Fiat: anteriori da 5,5x13” della Fiat 124 Sport e Autobianchi A112, posteriori da 6,5x14” della Fiat Dino Coupè. La monoposto SE025 Formula Italia fu presentata al Salone dell’Automobile di Torino 1971 e debuttò in gara a Monza nel 1972.

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IL PROGETTISTA

 

Com’è nata la monoposto di Formula Italia denominata SE025 ce lo spiega direttamente colui che ne tracciò le linee, Sergio Seccatore, che ci rivela anche un curioso aneddoto.

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“Siamo partiti, nel 1970, da una richiesta della CSAI di una monoposto monotipo, con una sorta di traccia di regolamento che imponeva il più possibile l’utilizzo componenti ricavati da vetture di serie, in modo tale da contenere i costi di costruzione e dei ricambi. Dopo un rapido studio di quello che poteva fornire il mercato abbiamo scelto una serie di componenti derivate da vetture del Gruppo Fiat, Lancia e Autobianchi, dato che Alfa Romeo non faceva ancora parte del Gruppo. Io mi occupai della progettazione e disegno di tutte le parti della vettura, con la supervisione e spunti di Mario Colucci, responsabile del Reparto Esperienze Abarth. Il Signor Abarth (testualmente) passava ogni tanto a vedere come proseguivano i lavori: lui si occupava soprattutto della parte estetica, perché dato che si trattava di una Abarth ci teneva che piacesse, mentre per il resto ci lasciò ampio spazio di manovra. Per il motore ci fu imposto il bialbero 1600 della Fiat 125 S, che doveva restare di serie, senza filtro aria sostituito dai quattro tromboncini sui doppio corpo Weber da 40. Il cambio era della Lancia Fulvia Coupè HF 1600, con cinque rapporti sincronizzati. Per unire motore e cambio fu realizzato un apposito distanziale, che alloggiava la frizione sempre Fiat.

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 I giunti sul lato cambio erano della Lancia, mentre sul lato ruota erano Fiat, questo ci impose di utilizzare due metà di semiassi differenti uniti tra loro con un manicotto saldato. I montanti erano quelli della A111 sulle quattro ruote, con una modifica nella parte inferiore di quelli posteriori per collegare bracci e puntone inferiori. Per le sospensioni optammo per lo schema a bilanciere, così da poter alloggiare il gruppo molla-ammortizzatore all’interno, dando così un tocco di modernità scimmiottando la moda di quegli anni per quanto riguarda le monoposto delle categorie superiori. Peraltro i bracci superiori erano esattamente uguali su ogni lato della vettura, quindi intercambiabili tra anteriore e posteriore.

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Per determinare gli ingombri del telaio eseguimmo lo studio di un figurino che comprendeva il gruppo motore cambio e le dimensioni standard di un pilota, ottenendo così il riferimento dell’asse posteriore dal quale siamo partiti per deliberare quello anteriore, che doveva trovarsi davanti alla pedaliera per ragioni di sicurezza. La Federazione incaricò l’ing. Roberto Nosetto di verificare che ci fossero le massime condizioni di sicurezza, che non lesinò interventi sulla disposizione di vari accessori. Per definire l’ingombro del pilota facemmo una media tra la misura più piccola di Merzario e la mia (180 cm). Lo stesso per il guscio in alluminio sul quale fare lo stampo per il sedile: mentre lo stavamo modellando con il battilastra, arrivò Abarth che mi chiese di sedermi nel guscio appoggiato sul piano di riscontro per verificare la posizione di guida. Stabilita la posizione delle varie componenti passammo a definire il telaio, in pratica collegando tra loro le varie componenti deliberate: gruppo motore cambio, sospensioni, sedile pilota, radiatore anteriore etc. Proseguendo nella politica del risparmio si decise di far passare il liquido di raffreddamento, mandata e ritorno tra motore e radiatore anteriore, all’interno dei due tubi inferiori del telaio, così da evitare l’utilizzo dei più costosi tubi in alluminio interni o esterni alla carrozzeria”.

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L’importanza degli sponsor

“L’ultima cosa ad essere disegnata e costruita fu la carrozzeria. Abarth fece modificare profondamente il modello già realizzato, dalle forme tondeggianti, perché spiegò che servivano superfici piane sulle quali poter appiccicare bene gli adesivi, perché queste monoposto erano indirizzate a ragazzi giovani che non avendo molte risorse economiche avrebbero dovuto avere tanti sponsor ai quali garantire visibilità. Dato che era agosto e la fabbrica era chiusa, per disegnare le modifiche da mandare al modellista dovetti farmi aprire dalla guardia l’ufficio, dal quale uscii solo due mattine dopo con i nuovi disegni sotto il braccio. Il nuovo modello superò l’esame e Abarth mi convocò nel suo ufficio dove, ringraziandomi per l’impegno, mi porse una busta: all’interno c’erano 280.000 lire, quando io ne prendevo 120.000 di stipendio mensile. Sulle prime volevo rifiutare, ma Abarth non volle sentire ragioni”.  

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IL PREPARATORE

Giuseppe Co, storico preparatore milanese, con il suo team Covir ha gestito per diversi anni fino ad una decina di monoposto di F. Italia, perciò nessuno meglio di lui conosce pregi e difetti della SE025. 

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“E’ stata una formula azzeccatissima, perché scontata costava circa 1.800.000 lire, circa lo stipendio annuo medio dell’epoca, perciò era alla portata anche di gente comune, tanto che diversi miei clienti erano dipendenti o piccoli artigiani. E soprattutto all’inizio, quando non si poteva modificare quasi nulla, uno la poteva gestire con l’aiuto di un amico meccanico che in officina effettuava i controlli di routine, bulloneria, livelli etc. Una volta in pista la si scaricava dal carrello, si facevano le pressioni alle gomme e via. Perchè la differenza più grande la faceva sempre il pilota, dato che la macchina aveva 115 cv ed essendo leggera andava forte, ma data la precarietà dell’assetto chi aveva sensibilità e capacità poteva emergere. E poi c’erano oltre 70 macchine iscritte, perciò c’era molto agonismo. Infatti quelli bravi che sono poi passati in F. 3 sono andati tutti forte. Certamente non mancavano i difetti, proprio derivanti dall’economia con cui era stato concepito il progetto. Il telaio fletteva parecchio, perciò oltre alla relativa precisione delle regolazioni di assetto tendeva a rompersi la traversa superiore sopra al cambio, così come la piastra di fissaggio dei bracci inferiori e puntoni posteriori, anche perché il fissaggio era a sbalzo, così come quello dei bilancieri delle sospensioni, che per il continuo passaggio sui cordoli oppure per urti si potevano piegare o rompere. Un altro dei punti deboli era l’alberino del cambio, perché di diametro piccolo e sottoposto a flessioni per la lunghezza, problema poi risolto grazie a quelli approntati dalla Lancia per i rally”.  

IL COLLAUDATORE

Arturo Merzario

Il fantino comasco, in qualità di pilota Abarth fu il primo a collaudare la SE025, sulla quale fu piuttosto critico. 

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“L’idea di base di Abarth di creare questa categoria era buona e se solo la Federazione e il Gruppo Fiat gli avessero messo a disposizione qualche risorsa in più si sarebbe potuto fare una monoposto più valida tecnicamente. Abarth ha fatto i miracoli, ma a mio avviso il livello era piuttosto basso. Tuttavia la categoria ha raggiunto l’obbiettivo di dare l’opportunità a tanti ragazzi di cimentarsi nelle corse in auto. E date le caratteristiche della monoposto bisognava essere davvero bravi per andare forte”.

I PILOTI

Decisamente più positivi i giudizi di diversi campioni del volante che proprio grazie alla Formula Italia ebbero l’occasione di formarsi e spiccare il salto verso i vertici dell’automobilismo.

Giorgio Francia

Dopo essersi laureato campione nella stagione d’esordio della categoria, proseguì in F. 2 e Prototipi per diventare poi pilota e collaudatore Alfa Romeo per tanti anni.

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“Fu una formula azzeccatissima, perché la monoposto era formativa ed economica, grazie al fatto che utilizzava molte componenti che provenivano dalle auto di serie. Perciò metteva tutti sullo stesso piano, consentendo a chi aveva i numeri di mettersi in mostra. Cosa purtroppo impossibile ai giorni nostri, dove per correre sono necessarie risorse alla portata di pochissimi, perciò diminuisce il bacino di giovani piloti da cui attingere per pescare i futuri campioni”.

Siegfried Stohr

Dopo essere arrivato secondo nel 1976, il pilota riminese ha fatto suo il titolo l’anno successivo nonostante, per protesta come ci spiega, abbandonò il campionato prima dell’ultima gara.

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“Scelsi la F. Italia perché venendo dal kart volevo correre in monoposto e quella era la categoria nazionale più competitiva. La prima volta che provai la monoposto mi girai sette volte prima di capire come andava guidata. Poi, imparata la tecnica, modificando la guida a cui ero abituato con i kart, tutto cominciò a girare per il verso giusto e alla prima gara feci la pole. Ruppi il motore ma vinsi la gara successiva ed essendo un emerito sconosciuto, probabilmente, questo diede fastidio a molti che ambivano alla vittoria. Fatto sta che da lì in avanti non fecero complimenti: qualcuno era duro ma pulito, mentre altri giocavano sporco, tanto che qualcuno dopo avermi ripetutamente buttato fuori si beccò tre mesi di squalifica. Sostanzialmente c’era un grande equilibrio tra le macchine, anche se ogni tanto saltava fuori qualche prestazione “sospetta”. Anche la messa a punto era relativa, perché il telaio fletteva parecchio, perciò il pilota doveva metterci del suo e poteva fare la differenza. Certo qualche trucchetto c’era: il mio preparatore Adolfo intervenne aprendo la convergenza posteriore, aiutando così la macchina a voltare, e feci il record della pista. Quindi imparai a farmi l’assetto da solo, portando la macchina sulla pesa del paese vicino a dove si correva. Peraltro io ero uno dei pochi ad apprezzare l’assetto base deliberato da Merzario, con la barra anteriore più rigida. All’ultima gara del 1976, mentre mi stavo giocando il titolo mi buttarono fuori e lo stesso successe l’anno successivo alla penultima gara, perciò esasperato da questa sorta di tiro al piccione decisi di abbandonare la categoria non partecipando all’ultima gara nonostante mi stessi giocando il titolo, che poi vinsi ugualmente. Gli amici che mi aiutavano capirono questa mia sofferenza e mi diedereo una mano a debuttare in F. 3. Nonostante questi brutti episodi, considero fantastica la F. Italia, perché se si vuole che emergano i talenti veri serve una categoria dove tutti possano correre a cifre ragionevoli, altrimenti ci saranno solo i figli di papà che arrivano a 16 anni dopo 10 anni di kart e tra questi non è detto che ci sia il campione. Io la macchina la portavo in pista col carrello, mi seguiva un amico meccanico e quando non trovavamo l’albergo per dormire il posto più comodo sul furgone spettava a lui”.

Riccardo Patrese

Il pilota padovano, secondo nel 1975, oltre alla sua esperienza personale ci può offrire un interessante paragone, tra i due mondi della formula propedeutica nazionale, con quella vissuta seguendo suo figlio Lorenzo che ha corso in Formula 4 nel 2021.

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“Io andavo in pista con la macchina sul carrello trainato dal furgone di mio papà. La scaricavamo e via. Ora è diventato tutto mega complicato e costoso. In Formula 4 si fanno più chilometri di test che in gara e alla fine, per forza, uno riesce ad ottenere performance almeno discrete, mentre all’epoca della Formula Italia si facevano pochissimi test, perciò contava davvero la sensibilità e l’abilità di guida, perché la macchina non aveva aerodinamica e scivolava parecchio. E c’era pure parecchio agonismo. Ora si è perso molto dello spirito pionieristico di allora. Vedendo come si è sviluppata la stagione scorsa di mio figlio in F. 4 e come invece fu la mia in F. Italia, noto che c’era molto più piacere anche di condivisione, nel mio caso con mio papà. Quella era la nostra formula addestrativa, molto più basica ma credo andasse molto bene”.

Beppe Gabbiani

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“Corsi solo due gare nel ‘76, in attesa del nullaosta per correre in F. 3, ma mi sono divertito tantissimo. Acquistai una F. Italia abbandonata in un fienile di Asti. Con un amico la portai nell’azienda metalmeccanica di mio padre, dove fu smontata, controllata e sistemata, con tanto di pannelli rivettati e carrozzeria verniciata bianco-azzurra. Mio padre acquistò un motore da Cevenini e andai a correre prima gara a Casale Monferrato. Partii secondo ma dopo alcuni giri si ruppe l’alberino del cambio, che era un po’ debole: io d’altronde ero abituato col F. 3 a scalare diverse marce in una volta, così la macchina aiutava a girare, così come frenavo con il sinistro nei curvoni, metodo che avevo imparato nei kart. Appena provai la F. Italia mi innamorai da morire, perché non era facile da guidare: senza alettoni sul veloce dovevi stare molto attento, imparare a parzializzare l’acceleratore, tanto che io nei curvoni veoci adottavo il metodo kartistico di frenare con il piede sinistro. Inoltre bisognava imparare a gestire bene la frenata, per evitare bloccaggi e spiattellamenti delle gomme. L’importante era avere sempre trazione, altrimenti si perdeva molto tempo. Era leggera, con un motore brillante, mentre il cambio era un po’ delicato, non mi piaceva perché dovevi passare le marce, ma poi mi abituai a cambiare velocemente. Poi arrivò il sospirato nullaosta, perciò l’esperienza terminò dopo la seconda gara a Magione, dove vinsi la batteria ma commisi un errore in finale. Tuttavia ho davvero un bellissimo ricordo della F. Italia, una categoria  azzeccatissima perché il pilota poteva metterci del suo ed era molto combattuta, con tanti piloti bravi.

Ieri e oggi

All’epoca la monoposto Abarth SE025 di Formula Italia costava poco meno di 2 milioni di lire, che rapportati ai giorni nostri potrebbero essere “tradotti” in circa 20.000 euro. Se volessimo fare un confronto con l’attuale categoria propedeutica nazionale paragonabile alla Formula Italia, la Formula 4, che ad onor del vero vanta però un livello tecnologico più elevato, basti pensare che una monoposto Tatuus F. 4 completa di motore costa quasi 45.000 euro e per disputare una stagione competitiva occorre un budget di oltre 200.000 euro.

Sogno realizzato

Proprio grazie alle caratteristiche di economicità descritte in precedenza, anche chi scrive all’epoca aveva pensato alla F. Italia per il proprio debutto in veste di pilota. Purtroppo all’epoca era necessario avere maturato almeno un anno di patente per ottenere la Licenza Sportiva ed essendo il sottoscritto nato nel mese di dicembre, calendario alla mano, tale debutto avrebbe potuto avvenire solo l’ultimo anno di attività della suddetta categoria. Ma a rompere le… uova nel paniere arrivò una “cartolina” che, ahimè, avrebbe congelato i sogni di gloria, oltre ad un anno di vita! Perciò non ebbi modo di provare quella tanto desiderata monoposto. Ma mai dire mai: l’occasione si è presentata con, quasi, cinquant’anni di ritardo. Grazie ad Alessandro Trentini di KAA Racing, che ci ha messo a disposizione la sua monoposto, telaio #0025 rimasta nella livrea del team Minardi dell’epoca, per questa prova. Una monoposto che ha consentito al bravo pilota milanese di conquistare nel 2015 il Titolo di Campione Italiano Velocità in Salita Autostoriche 5° Raggruppamento, oltre alla Medaglia di Bronzo del CONI al Valore Atletico. Perciò si tratta di una monoposto conservata e rimasta attiva negli anni. 

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Guida “old style”

Le belle sorprese non sono finite, perché appena calato nell’abitacolo mi trovo il posto di guida che pare cucito su misura, con volante e leva del cambio perfettamente a portata di mano e ottima visuale sulle ruote anteriori, che su una monoposto fanno da punto di riferimento per le traiettorie.

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Pigio il pulsante di avviamento e il quattro cilindri torinese diffonde la sua musica agevolato dallo scarico libero, pronto nella risposta ad ogni colpo di acceleratore come fosse la bacchetta di un maestro d’orchestra, trasmettendo le classiche vibrazioni al passaggio di determinati regimi. La frizione morbida e modulabile agevola la partenza e l’inserimento delle marce, con movimento rapido e preciso nell’innesto. L’unica difficoltà riguarda l’inserimento della quinta marcia, perché con l’escursione della leva il guanto va a strisciare contro la carrozzeria. Fin dai primi metri il bialbero 1.600 si fa apprezzare per prontezza nella risposta e brillantezza in accelerazione, rapido a salire di giri e con un bell’allungo, accompagnato dalla goduriosa salita della tonalità delle note (grazie anche al fatto che lo scarico è libero) man mano che la lancetta sale sulla scala del contagiri. Lo sterzo è leggero e preciso, così come l’ingresso in curva a patto di non voler tirare troppo dentro la staccata, col rischio anche del possibile bloccaggio della ruota anteriore interna, mentre bisogna curare bene la percorrenza manovrando delicatamente volante e, soprattutto, acceleratore.

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Pena una tendenza al sovrasterzo, più accentuata quando si accelera decisamente all’uscita di una curva lenta o di un tornantino. Reazioni, comunque, perfettamente controllabili, perché la monoposto è sincera e avverte dolcemente il pilota. Nel nostro caso ancora di più, dato l’assetto piuttosto morbido adottato per le gare in salita. Insomma, divertimento assicurato, proprio grazie alle reazioni “old style” della SE025. Peccato non averci potuto correre all’epoca!

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Scheda tecnica Formula Italia Abarth SE 025

Corpo vettura: monoposto, telaio tubolare a traliccio in acciaio Aq 35, carrozzeria in poliestere PRFV autoestinguente.

Dimensioni (in mm) e peso: passo 2.250 mm, carreggiata ant. 1.300 mm, carreggiata post. 1.325, lunghezza 3.700 mm, larghezza 620, altezza minima da terra 70 mm. Peso a vuoto 470 kg. Capacità serbatoio benzina 25 litri.

Sospensioni: anteriore a ruote indipendenti, bilanciere superiore, ammortizzatori idraulici con molle elicoidaili coassiali; posteriore a ruote indipendenti, bilanciere superiore, doppi bracci inferiori e puntoni longitudinali, ammortizzatori idraulici con molle elicoidali coassiali. Barre stabilizzatrici ant. e post. Regolabili su 3 posizioni.

Freni: anteriori a disco da 227x10 mm ant. e post., doppie pompe con bilanciere sulla pedaliera per ripartizione frenata sui due assi.

Sterzo: a cremagliera e tirante laterale.

Ruote: cerchi in lega 5,5x13 ant., 6,5x14 post. Pneumatici Firestone 5,25x9,00 13, 5,50x8,10 14 (Pneumatici varie tipologie successive).

Motore: 125 BC 000, posteriore longitudinale, 4 cilindri in linea, cilindrata 1.600 cc, alesaggio per corsa 80x80 mm, distribuzione doppio albero a camme in testa, valvole in testa inclinate di 45°. Testa e monoblocco in lega leggera. Alimentazione con un due carburatori doppio corpo Weber 40. Lubrificazione a carter umido, capacità coppa 3.3 litri. Raffreddamento ad acqua. Impianto di accensione marelli Tipo CW 8 LP. 

Trasmissione: trazione posteriore, cambio a cinque marce sincronizzate + RM. Valore rapporti  21x16 - 28x33 in prima, 21x19 – 28x29 in seconda, 21x23 - 28x27 in terza, 21x25 – 28x27 in quarta,  1 in quinta, 21x14 - 28x39 in RM. Frizione monodisco a secco con molla a diaframma.

Prestazioni: potenza max 115 CV DIN a 7.000 giri.