La Renault 5 Turbo Gruppo B, autentica icona della storia automobilistica, compie 40 anni. Vediamo com’è fatta una vettura preparata dallo specialista Elio Corti in questa versione, che ha rappresentato la massima espressione delle vetture da rally dal 1983 al 1986, e come va (GUARDA IL VIDEO).

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Di Eugenio Mosca – Foto di Dario Pellizzoni

La R5 turbo è certamente una delle vetture iconiche nella storia dell’automobile, sia per le forme decisamente coinvolgenti, da autentica maggiorata, sia per le prestazioni che ne hanno fatto un’autentica reginetta dei rally, prima in versione Gruppo 4 e poi Gruppo B con la quale è stata al vertice della categoria, ma anche in pista dove ha dato vita anche ad un monomarca di alto livello. La bombetta della Losanga nasce da un’idea di Jean Terramorsi, Direttore Prodotto piccole serie ma soprattutto grande appassionato, che consapevole degli sforzi fatti dalla Régie per arrivare a vincere con la tecnologia turbo in Formula 1 e a Le Mans pensa a capitalizzare il know-how acquisito dalla Casa realizzando una R5 molto speciale, che potrebbe brillare nelle corse e completare la gamma diventando la prima auto francese con motore turbo benzina prodotta in serie.

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Prove di muscle car

Ottenuto l’ok dalla dirigenza, Gerard Larrousse mise all’opera i suoi tecnici del reparto Renault Sport, guidati da Michel Tetu, che si trovarono davanti un compito tutt’altro che facile  perché, a differenza di altre vetture contemporanee che già nascevano con caratteristiche corsaiole e per ospitare il motore centralmente, nel caso della R5 si trattava di trapiantare il gruppo motore turbo e trasmissione con tutti i relativi accessori nella scocca di quella che in definitiva era una utilitaria, cercando di ottenere anche un buon bilanciamento dei pesi. A questo contribuivano radiatore, batteria, scatola guida, pompe freno e impianto di aerazione, oltre alla ruota di scorta, posti nel vano baule anteriore, mentre i serbatoi erano piazzati sotto i sedili (!). Il motore è un quattro cilindri in linea di 1.397 cc (alesaggio e corsa di 76x77 mm), con basamento in ghisa e testata in lega leggera, distribuzione ad albero a camme laterale che aziona le valvole tramite aste e bilancieri, alimentazione a iniezione meccanica Bosch K-Jetronic e sovralimentazione mediante turbocompressore Garrett T3, con pressione di 0,86 bar, che dispone di un intercooler aria-acqua. Il quattro cilindri francese eroga 160 Cv a 6.000 giri/min con una coppia di 210 Nm a 3.250 Giri/min, per una accelerazione 0-100 in 6,5 secondi e una velocità massima di 200 km/h.

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La trazione è spostata sulle ruote posteriori, con il cambio 5 marce e frizione bidisco. Nel frattempo, Bertone in Italia, il Centro Stile Renault a Rueil-Malmoison, Alpine a Dieppe e Heuliez a Cerazay, lavorano tutti a ritmo serrato per apportare le necessarie modifiche al telaio e alla carrozzeria, allargata per contenere l’aumento delle carreggiate e ospitare gli accessori necessari, oltre ad organizzare l’industrializzazione della futura Renault 5 Turbo, il cui nome in codice è 822.

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Parte la R5 turbo

Nell’ottobre 1978 la Renault 5 Turbo fa la sua prima apparizione pubblica al Salone di Parigi e nonostante sia ancora in versione modellino statico la nuova muscle car della Régie fa immediatamente colpo. Un mese dopo, quel prototipo gira sulla pista di Ledenon pilotata da Guy Frequelin, e successivamente a Dieppe vengono realizzate altre tre evoluzioni del prototipo: 822-01, 822-02 e 822-03. Quest’ultimo esordisce in gara al Giro d’Italia 1979 con alla guida lo stesso Frequelin.

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Debutto che termina con un ritiro per rottura del motore, ma la piccola bomba della Losanga ha fatto in tempo ad impressionare addetti ai lavori e stampa specializzata. Il ko non scoraggia il piccolo team di Dieppe incaricato di sviluppare la 5 Turbo, che dopo ulteriori prototipi messi alla frusta da Alain Serpaggi arriva a deliberare la messa a punto finale. Nel maggio 1980 parte ufficialmente la produzione della Renault 5 Turbo, che deve essere costruita in almeno 400 esemplari per ottenere l’omologazione per le corse. La scocca viene allungata di 5 cm, padiglione e porte sono realizzate in alluminio e tra i duomi anteriori viene installata la barra antiavvicinamento. Quindi a Dieppe vengono assemblati i parafanghi anteriori e posteriori in poliestere come il cofano posteriore, il gruppo motore-trasmissione, i rivestimenti interni ed eseguita la verniciatura. Al Salone di Parigi 1982 viene presentata la Renault 5 turbo 2, che differisce dal modello precedente solo per pochi dettagli, scambiatori più performanti e portiere in lamiera di acciaio, tanto che il numero di progetto rimane invariato.

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La rivincita a Monte Carlo 1981

La Renault 5 Turbo, però, è nata prima di tutto per fare da base alla versione da corsa in versione Gruppo 4. Al Tour de France Automobile 1980, Jean Ragnotti-Jaen-Marc Andrié sfiorano il successo. Così anche al Tour de Corse, dove è una foratura a privare i due della vittoria. La rivincita, con i fiocchi, arriva però a gennaio 1981, quando alla sua quarta partecipazione ad un rally la Renault 5 Turbo sbanca Monte Carlo sempre con Ragnotti-Andrié. E’ un successo globale per tutto il team Renault Sport, che nei tre anni precedenti ha lavorato sodo per realizzare e sviluppare la “Piccola bomba dei rally”. 

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“Cevennes” per i clienti

Sulla base della 5 Turbo vincitrice a Monte Carlo, Renault Sport mette a disposizione dei clienti sportivi la versione “Cévennes” per competere nel Gruppo 4. La vettura poteva essere acquistata “chiavi in mano” dagli stabilimenti di Dieppe, al prezzo di 217.000 franchi, oppure trasformata in Gr. 4 montando sulla 5 Turbo stradale un apposito kit, con un lavoro preventivato di 300 ore. Questa versione, di cui sono stati realizzate 20 unità, oltre al peso che calava a 925 kg (da 970) prevedeva la scocca rinforzata “asfalto” in diversi punti e  il roll-bar, impianto frenante con 4 dischi autoventilati e ripartitore di frenata manuale dall’abitacolo, oltre a un kit di potenziamento del motore a 200 Cv. A marzo 1982 arriva anche una versione ulteriormente ottimizzata di questa vettura, denominata “Cévennes 2”.

Arriva il Gruppo B

Nel 1983 il vertice della categoria rallistica è definito dalla nuova categoria Gruppo B, che favorirà lo sviluppo delle vetture più potenti mai costruite per i rally, ma al tempo stesso le più pericolose. A gennaio 1983 Renault Sport mette a disposizione dei clienti sportivi, sempre con la formula a scelta tra vettura pronta corsa oppure kit di montaggio, la versione 5 Turbo “Tour de Corse”, realizzata in soli 20 esemplari. Proprio questa minima disponibilità, oltre ai lunghi tempi di attesa, consiglierà alla maggior parte dei preparatori di optare per il kit di trasformazione. Tra questi Elio Corti, titolare della Elco Racing autentico punto di riferimento allora ed ai giorni nostri per queste vetture, che ha preparato la R5 Turbo del nostro servizio (nella foto con livrea dell’epoca).

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Promossa in Gr. B

La vettura in questione era stata precedentemente preparata in versione Gr. 4 con il kit ufficiale “Cevennes”, quindi con l’arrivo del Gr. B nel 1983 riconvertita nella nuova categoria top dei rally utilizzando il kit ufficiale Renault. “Un kit costoso – ricorda Corti (85 milioni di Lire), ma fatto molto bene e completo di tutto, fino all’ultima rondella”. Al quale erano allegati due manuali (foto sotto) per il montaggio delle parti speciali, sia di meccanica sia per telaio-carrozzeria, come riportato nella fiche di omologazione.

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Data la difficoltà ad ottenere uno dei pochi esemplari completi, per la preparazione si è partiti da una vettura stradale, completamente smontata per asportare la parte meccanica ed i rivestimenti così da ottenere la scocca nuda. Questa è stata sverniciata manualmente, con l’apposito phon e spatola, per procedere alla risaldatura dell’accoppiamento dei lamierati e l’aggiunta dei rinforzi contenuti nel kit e specificati in fiche, in particolare nelle aree di attacco sospensioni, tunnel centrale e duomi anteriori e posteriori, oltre all’applicazione della gabbia di sicurezza con sei punti di attacco: in corrispondenza dei montanti anteriori e centrali e dei passaruota posteriori.

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Le modifiche alla carrozzeria riguardavano la sostituzione del paraurti anteriore, che integrava i fari di profondità tondi, i parafanghi ed i passaruota interni anteriori per consentire l’alloggiamento delle ruote più grandi, 7x15” anteriori e 9x15” posteriori.

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Va notato che nel Gr. 4 i cerchi posteriori potevano arrivare fino a 11x15”, infatti per la versione “Maxi” Gr. B si aumentò leggermente la cilindrata (1.570) salendo (con il coefficiente turbo) oltre 2.0 per poter montare cerchi di maggiore larghezza.

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Infine, va detto che per poter passare il test anticrash, nella parte bassa del vano baule (anche sulla vettura stradale) è stato aggiunto un tubo in vetroresina del diametro di 110 mm, che nelle gare su terra veniva riempito di acqua per limitare un eccessivo “sollevamento” del muso.

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Assetto unico

La R5 Turbo stradale nasceva con le barre di torsione anteriori invece delle molle. Nel kit per le competizioni queste venivano sostituite da molle coassiali (di quattro tipi all’anteriore e tre al posteriore, per asfalto, asfalto sporco o sconnesso e terra) agli ammortizzatori Bilstein (nello specifico, ma potevano essere anche De Carbon) non regolabili.

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La taratura standard degli ammortizzatori rappresentava un buon compromesso, tanto da essere mantenuta sia sui percorsi in asfalto sia sulla terra, dove veniva alzata di 20 mm l’altezza da terra della vettura, per avere una maggiore escursione, operando sulle ghiere scorrevoli sul gambo dell’ammortizzatore. “Così non eravamo mai al 100% della resa – ricorda Elio Corti -, ma un buon 85% che accontentava i piloti perché non si trovavano mai con un assetto estremo che avrebbe potuto metterli in crisi”.

20230128 1 news 17Lo stesso dicasi per la scatola dello sterzo, di cui erano disponibili due versioni: quella originale e una “ravvicinata” con minore escursione, ma data l’assenza di idroguida e le gomme larghe la macchina diventava molto pesante da guidare; perciò, la maggior parte dei piloti preferiva la prima soluzione. Per le sospensioni il kit Gr. B prevedeva dei bracci modificati, così da avere una geometria differente rispetto al Gr. 4 e consentire una migliore sterzata, e rinforzati.

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All’anteriore il triangolo superiore è ancorato tramite uniball, mentre il trapezio inferiore lavora su boccole rigide, così come i trapezi posteriori, con quello inferiore che ha il braccetto per la regolazione della convergenza e l’attacco della barra antirollio. Anche per l’impianto frenante erano disponibili due versioni: pompa singola maggiorata oppure, come nel caso della vettura del nostro servizio, si spostava in basso il punto di ancoraggio del pedale in modo tale da montare le doppie pompe AP Racing e il bilanciere con ripartizione della frenata.

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I cerchi da 15” consentono il montaggio di dischi freno autoventilati da 280x25 mm, accoppiati a pinze AP Racing a quattro pompanti sulle quattro ruote.

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Due livelli di potenza

Notevole il lavoro svolto dai tecnici di Dieppe sul quattro cilindri di 1.397 cc, proposto con due livelli di potenza: 265 o 290 CV, differenza che si otteneva montando un diverso albero a camme, due differenti coni dell’iniezione e del debimetro che andavano a variare il funzionamento della pompa di iniezione, ed effettuando la conseguente messa a punto. Le differenze con la versione stradale, che aveva 200 CV, cominciavano dal monoblocco, nel quale erano inserite canne cilindro di una lega speciale di acciaio ad alta resistenza, perché con quelle originali se si andava oltre la pressione del turbo di 1,1 bar (1,4 bar su quella da corsa) tendevano a cedere.

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L’altra grande differenza rispetto alla versione stradale era relativa all’impianto di lubrificazione, che sulla versione da corsa era modificata con carter secco, serbatoio olio separato e radiatore olio sul lato destro. Ma i tecnici francesi erano intervenuti in tutte le aree.

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Infatti, il kit Gr. B comprendeva anche una testata modificata, con valvole leggermente diverse come disegno, per migliorare il flusso, ma di uguali dimensioni, volano alleggerito (ma privo del gruppo frizione considerato parte della trasmissione), albero motore, bielle e pistoni speciali con rapporto di compressione inferiore (0,5 mm più basso da spinotto a cielo pistone; da 7,2:1 a 7:1), collettore di scarico, gruppo turbocompressore con wastegate esterna e terminale di scarico.

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Molto particolare (e costoso, aggiunge Corti) lo scambiatore di calore, posto in corrispondenza della presa d’aria sul lato sinistro, nel quale veniva fatta circolare acqua calda in modo tale da ottenere una temperatura dell’aria in aspirazione a 60° con ogni condizione esterna.

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Questo perché non potendo variare elettronicamente la regolazione della pompa di iniezione meccanica K-Jetronic, sfruttando l’opera di sensori che in funzione della temperatura dell’acqua regolano il flusso benzina, i tecnici francesi avevano optato per un sistema in grado di mantenere a 60° la temperatura dell’aria, ottimale in prova speciale.

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Anche il raffreddamento dell’acqua era stato ottimizzato montando una massa radiante maggiorata, delle stesse dimensioni laterali ma di spessore superiore, 50 mm invece di 35 mm, e con tubi di mandata e ritorno di diametro più piccolo in modo tale che limitando la velocità di circolazione del liquido questo rimane per un tempo maggiore nel radiatore agevolando il raffreddamento.

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Grazie a tutti questi accorgimenti i tecnici di Dieppe riuscivano ad ottenere una buona affidabilità del propulsore, tanto che mantenendosi con una pressione di sovralimentazione di 1,4 bar, oltre i quali si possono innescare cedimenti nella testata, i tempi di revisione consigliati sono piuttosto lunghi: circa 900 km di PS per la revisione della testata e 1.500 km di PS per la revisione più completa, con sostituzione dei pistoni, bronzine e verifica di altri elementi.

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Cambio sincronizzato

La trasmissione è composta da un cambio ad H a cinque marce, sincronizzate con un’unica scala di rapporti ravvicinati e due differenti coppie coniche, e differenziale autobloccante meccanico con tarature al 30% oppure al 60% (uno o due dischi frizione), a seconda del tipo di tracciato. La frizione aveva un doppio disco (da 180 mm), in materiale sinterizzato, con spingidisco rinforzato e l’azionamento a spinta invece che a trazione.

Guida fisica

Abbiamo saggiato la Renault 5 Turbo sul circuito di Castelletto di Branduzzo, un tracciato molto movimentato, con 16 curve distribuite lungo i 1.900 mt ma anche un rettifilo di 350 mt dove scatenare la cavalleria, quindi ideale per mettere alla frusta una vettura da rally.

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La posizione di guida ha una seduta alta, tipicamente rallistica, a vantaggio della visuale. Ma anche obbligata dal posizionamento dei dei serbatoi sotto i sedili. Ad ulteriore conferma di quanto fossero estreme, e pericolose, queste Gruppo B. Appena dietro le nostre spalle sibila il quattro cilindri francese, che riempie l’abitacolo di un sound coinvolgente ma anche di tanto, tanto calore.

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Accentuando lo sforzo fisico che richiede la 5 Turbo nella guida, soprattutto su un tracciato tortuoso come questo di Castelletto, che richiede molto lavoro di volante, peraltro piuttosto pesante per la mancanza dell’idroguida. Mentre il cambio sincronizzato è bello morbido. La versione che stiamo provando è quella da 265 CV, invece di quella più potente da 290, ma appena entra in funzione il turbo, evidenziato dal movimento della lancetta che spicca sul grande manometro posto in posizione centrale ben visibile sulla plancia, è come se partisse una fucilata.

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Perciò posso comprendere bene la scelta dell’attuale proprietario della vettura di utilizzare la versione meno potente, perché in pista potrebbe anche essere divertente, mentre su strada, senza alcun tipo di aiuto elettronico a rendere più mansueta l’erogazione della potenza, potrebbe diventare complicato gestire un caratterino del genere. Comunque, ad aiutare il pilota contribuiscono una frenata potente, che richiede un sensibile sforzo sul pedale ma trasmette un buon feeling, e un buon assetto, con l’inserimento preciso dell’anteriore e buona percorrenza. Perlomeno su curve di media velocità. L’unica avvertenza è quella di non tirare troppo dentro la curva la frenata nelle staccate più violente, altrimenti nella fase di sterzata la macchina tende ad andare repentinamente in sovrasterzo, con il risultato che si perde tempo nel controllo dovendo quindi ritardare ulteriormente l’accelerazione, peraltro condizionata anche dal motore che va sotto coppia.

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In definitiva, la Renault 5 Turbo ti fa rivivere tutto il fascino delle auto dure e pure di una volta, a patto di trattarla con i guanti e prepararsi bene fisicamente prima di mettersi al volante. Perchè è molto fisica nella guida!