QUATTRO AMICI… IN OFFICINA

Nel 1960, in pieno periodo di transizione tecnica della categoria, Tino Bianchi e Gastone Crepaldi realizzano una delle prime F. Junior italiane con motore posteriore, progettata dal grande tecnico Vittorio Jano, papà tra le altre delle Alfa Romeo P2 e 6 C 1500, e “vestita dalla famosa Carrozzeria Scaglietti di Modena, che ha “cucito gli abiti” delle più famose Ferrari. L’unico esemplare della BJC, sottoposto a restauro conservativo, l’abbiamo provato alla Rievocazione del Gran Premio di Bari.

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Di Eugenio Mosca

La Formula Junior è stata la formula propedeutica per eccellenza nel dopoguerra, attiva dal 1958 al 1963. Istituita dalla Commissione Sportiva Internazionale (CSI) della FIA, su idea di Giovanni Lurani, si poneva come categoria dai costi accessibili, dato che per regolamento le monoposto dovevano utilizzare molti componenti delle automobili di serie, per consentire ai giovani piloti di iniziare a correre e magari gettare le basi per una futura carriera nel motorsport, ma anche a piccoli costruttori di realizzare la propria monoposto. Obbiettivi pienamente centrati, perché nei sei anni di attività molti piloti (tra cui Jim Clark, John Surtees, Denny Hulme, Lorenzo Bandini, Peter Arundell) e Costruttori (fino a 500 nel mondo nel 1963) hanno avuto modo di mettersi in luce grazie alla Formula Junior. Il regolamento tecnico richiedeva che le macchine fossero spinte da motori derivati dalla produzione con cilindrata di 1.000 cc, per vetture che potevano giovare di un peso minimo di 360 kg, oppure di 1.100 cc per un peso che saliva a 400 kg. Parti come il blocco motore e la testata dovevano provenire dalla produzione di serie ed erano vietate modifiche radicali, mentre era possibile modificare i rapporti del cambio ma sempre all'interno di una scatola di produzione, così come anche i freni e gli elementi della trasmissione dovevano venire dalla produzione. La Formula Junior fu anche la prima serie automobilistica a richiedere i rollbar a protezione della testa dei piloti in caso di ribaltamento.

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Monoposto in serie

In Italia la scelta più naturale fu l'utilizzo del motore 1.100 cc della Fiat, mentre in Inghilterra furono i BMC di 1.000 cc della Mini i più utilizzati. Il che, suggerirà anche una rapida e radicale evoluzione tecnica della categoria. Infatti, inizialmente la maggior parte delle monoposto di F. Junior avevano una configurazione con motore anteriore e trazione posteriore come si usava anche per le vetture da Gran Premio dell'epoca, peraltro con un corpo vettura alto e piuttosto voluminoso, mentre nel corso degli anni la situazione mutò in modo radicale con lo spostamento del motore al posteriore e un corpo vettura esile e basso, tanto che il pilota assunse una posizione di guida sdraiata; una configurazione adottata dalla quasi totalità delle monoposto nel 1963. Un altro dei meriti della F. Junior fu quello di dare il via alle factory da corsa, fenomeno che prese piede soprattutto in Inghilterra, dove si producevano monoposto in serie da vendere a clienti sportivi. A dare il via a queste fabbriche da corsa fu Frank Nichols della Elva Cars, seguito poi dalla Gemini, Lola, Cooper e Lotus, con queste ultime due che utilizzavano gli stessi telai delle loro Formula 1, così come sul fronte motori si fece avanti Keith Duckworth della Cosworth. Presenze di prestigio che, però, in nome della ricerca di sempre maggiori performance portarono ad una esasperazione tecnica, con motori che arrivarono a superare potenze di 110 CV, che fece lievitare i costi a livelli accessibili per pochi. Con il risultato che la categoria fu abbandonata a fine 1963 a livello internazionale, sostituita dalla Formula 3.

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Transizione

Nel 1960, alla terza stagione di attività della F. Junior, guardando il panorama internazionale appariva chiaro che la filosofia vincente fosse quella dei Costruttori inglesi, che non disponendo di motori molto potenti si erano ingegnati costruendo telai molto leggeri che privilegiavano il rapporto peso-potenza e la maneggevolezza, mentre in Italia dove invece mancava una vera scuola di Costruttori di telai si era privilegiata la ricerca di potenza sui motori, principalmente Fiat 1.100 e successivamente Lancia. E se all’inizio della F. Junior le potenze garantite dai motori avevano messo una pezza alle mancanze dei telai nostrani, soprattutto sui tracciati veloci mentre su quelli più misti erano dolori, a cavallo degli anni Sessanta dove peraltro c’era in atto la netta rivoluzione tecnica contraddistinta dallo spostamento al posteriore del gruppo motore-cambio, era evidente che queste non bastassero più a garantire una sufficiente competitività. Tanto che per conquistare il Campionato Italiano F. Junior 1961 Geki Russo passò dalla tradizionale Stanguellini-Fiat, che aveva dominato le tre precedenti stagioni, alla più “moderna” Lotus-Ford.

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Orgoglio tricolore

Preso atto della situazione un bravo meccanico milanese impegnato nella categoria, Tino Bianchi, con l’aiuto di uno sportivo entusiasta come Gastone Crepaldi e, soprattutto, di un tecnico di chiara fama come Vittorio Jano, si coalizzarono per realizzare una monoposto che potesse ovviare al punto debole delle realizzazioni nostrane. Di fatto la F. Junior BJC (dalle iniziali dei Costruttori) fu una delle prime in Italia ad adottare la configurazione più moderna con motore posizionato al posteriore. Peraltro, ispirandosi al concetto delle nasciture factory da corsa d’oltremanica, il trio nostrano pensò bene di realizzare un telaio che potesse ospitare qualsiasi tipo di motore, così da avere ampi sbocchi commerciali anche all’estero. L’idea era quella di vendere il telaio completo di tutte le parti meccaniche tranne il motore, così come era a scelta l’acquisto della carrozzeria, la cui realizzazione fu affidata a un altro nome di fama, il modenese Scaglietti. Insomma, parafrasando la nota canzone di Gino Paoli potremmo dire quattro amici... in officina.

English style

Il telaio della F. Junior BJC è in tubi tondi di sezione differente: quelli inferiori, dove è fissato il gruppo motore-cambio, da 40 mm, mentre quelli superiori sono da 25 mm. La struttura è completata da due centine, all’altezza del cruscotto e dietro il posto guida anche con funzione protettiva del pilota in caso di incidente.

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Le sospensioni, a ruote indipendenti, hanno all’anteriore bracci trasversali di forma triangolare e ammortizzatori telescopici con molle elicoidali coassiali, mentre al posteriore vi sono doppi bracci trasversali triangolari di piccolo diametro direttamente collegati al portamozzo, la balestra superiore trasversale (fissata al centro) con tamponi metallici alle estremità per limitare lo schiacciamento e cavetti metallici per limitare l’escursione in estensione.

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I freni sono a tamburo sulle quattro ruote, della 1100 all’anteriore e della 600 Multipla al posteriore, ma era prevista anche la possibilità di montare i dischi, così come i bellissimi cerchi a raggi Borrani (calzati da pneumatici 135x13” all’anteriore e 155x14” al posteriore), con fissaggio centrale a gallettone, potevano essere sostituiti da altri in lega leggera.

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Per ottimizzare la distribuzione dei pesi, dietro al radiatore acqua anteriore è posizionata la piccola batteria.

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Per eseguire i collaudi è stato montato un tradizionale (almeno in Italia) motore Fiat 1100 con due carburatori doppio corpo orizzontali Weber tipo 38 DCO-E1. La pompa dell’acqua è stata spostata sul lato sinistro del motore e potenziata la portata per garantire il necessario ricircolo con il radiatore anteriore. Il cambio è il quattro marce della Fiat 600, montato rovesciato dato il posizionamento contrario rispetto a quello sulla vettura di serie.

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Insomma, la BJC Formula Junior sulla carta aveva tutti i presupposti per avere successo, invece dopo i primi collaudi l’unico esemplare prodotto, quello del nostro servizio, venne acquistato da Roberto Crippa, noto pittore che negli anni Cinquanta aveva aderito al “manifesto dello spazialismo” (alcuni suoi disegni con i totem antropomorfi furono esposti anche a New York) e grande appassionato di volo acrobatico morto nel 1972 durante una esibizione, che però non la schierò mai in una gara. 

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Ritrovamento

La BJC di Formula Junior è quindi finita parcheggiata per anni nell’angolo di un autosalone, dove nel 2000 l’ha notata l’attuale appassionato proprietario che, ancora senza conoscerne nei dettagli la storia, incuriosito dalle forme particolari e dalla qualità della realizzazione ha trattato l’acquisto con il curatore dei beni del povero Crippa. Così, dopo anni di abbandono, la BJC ha di nuovo trovato una casa, anzi un garage personale allestito in perfetto stile anni Sessanta, e un vero appassionato che è tornato ad accudirla amorevolmente.

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Restauro conservativo

Qui ha cominciato a smontarla con calma, per “godersi” ogni particolare, rendendosi conto che in effetti questa monoposto di chilometri ne aveva percorsi pochissimi. Perciò, i particolari meccanici non erano per nulla usurati, tutt’al più opacizzati dal tempo. La monoposto è stata completamente smontata per verificare comunque tutte le componenti. Le parti meccaniche sono state pulite e lubrificate, mentre tutti i tubi e manicotti in gomma, quelli si intaccati dal tempo, sono stati sostituiti. Anche il motore è stato smontato e revisionato, più che altro in via preventiva. Anche per la carrozzeria realizzata da Scaglietti in alluminio è bastata una semplice lucidata, oltre a un piccolo ritocchino, per tornare all’antico splendore. Quindi per la BJC Formula Junior è arrivato il momento tanto atteso di rimettere le ruote in pista. Per ora in eventi rievocativi, come quello del Gran Premio di Bari dove, sul tracciato cittadino che riprende in parte quello dell’epoca sul quale si svolsero nove edizioni (dal 1947 al 1959) a cui parteciparono i più grandi campioni di allora, abbiamo potuto provarla.

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Guida in... libertà

L’accesso all’abitacolo è piuttosto agevole, anche perché la sezione del telaio, riprendendo lo stile Cooper, è piuttosto larga nella zona della cellula abitacolo, a differenza di quanto avveniva ad esempio con le Lotus, così come la posizione di guida è seduta e non sdraiata come sulle creature di Chapman e, più in generale, sulle monoposto successive. Altra particolarità, retaggio delle monoposto della precedente generazione, è quella di non avere le cinture di sicurezza che ancorano saldamente il corpo del pilota.

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Grazie alla posizione eretta la visuale è ottima, tanto da scorgere oltre la corona del volante, nella parte superiore del cockpit, la non proprio tranquillizzante vista del tappo del serbatoio carburante (da 42 lt.) posto sopra le gambe del pilota.

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Un giro di chiave e il quattro cilindri Fiat fa sentire il suo ruggito, diffuso a “piene note” dallo scarico libero, accompagnato ad ogni tocco di acceleratore dagli scatti della lancetta sul contagiri meccanico. La partenza è agevole, grazie alla frizione morbida e modulabile, mentre la manovrabilità del cambio, con la corsa breve e precisa negli innesti, richiede una certa decisione. Il quattro cilindri è pronto nella risposta fin dai regimi intermedi, a patto di non farlo andare sottocoppia; cosa non sempre semplice dato il traffico sul tracciato e gli ovvi rallentamenti imposti dalle apposite varianti.

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Tuttavia, nel tratto più libero e ampio, quello sul lungomare, abbiamo potuto apprezzare la spinta e il discreto allungo del motore che, nonostante la potenza non esplosiva dei 75 CV a 6.500 giri/min, grazie ai soli 400 kg di peso mostra una discreta brillantezza. Così come si fa apprezzare la precisione e agilità dell’avantreno nei rapidi cambi di direzione delle chicane, con il volante che seppur leggero da manovrare trasmette bene quello che stanno facendo le ruote, mentre va tenuto un po’ a bada il posteriore nella fase di accelerazione. Così com’è necessario utilizzare con sensibilità i freni a tamburo che, anche a causa degli pneumatici un po’ “induriti” dal tempo, tendono a bloccare se si pigia con troppa decisione il pedale.

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Piccole imperfezioni che non ci hanno tolto il piacere di pilotare questa esclusiva monoposto su un tracciato cittadino, anche perché trattandosi di una rievocazione ci siamo ovviamente sempre tenuti a livello di massima sicurezza, potendo così godere appieno anche dell’abbraccio del caloroso pubblico barese.         

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