Trentanove anni fa, l’8 maggio 1982 a Zolder, un disgraziatissimo incidente nei minuti finali delle qualifiche del Gran Premio del Belgio ci portava via Gilles Villeneuve, uno dei piloti più spettacolari di sempre e tra i più amati dagli appassionati per il suo grande cuore, alla guida, e per la sua genuinità.
Di Eugenio Mosca – Foto di Villeneuve: alexgalli.com
La dinamica, ahinoi, la conosciamo: una incomprensione con Jochen Mass e Gilles è volato via. Purtroppo nelle corse sono cose che possono succedere, senza la particolare colpa di qualcuno: nello specifico certamente ci fu un’incomprensione e a quelle velocità basta un attimo. Speso viene evocato, semplicemente, il destino. Ma in quell’occasione si è molto parlato anche del particolare stato d’animo che stava vivendo in quei giorni il pilota canadese e che in parte, probabilmente, può avere contribuito al concatenarsi di cause che hanno portato al tragico incidente.
Naturalmente non vogliamo tornare sull’accaduto, ma in occasione di questa triste ricorrenza, oltre a ricordare con affetto il piccolo grande canadese, mi rimbalzano in mente due cose: una riguarda un aneddoto personale e l’altra la testimonianza diretta raccolta, al riguardo di quegli eventi, in una intervista fatta a Tullio Abbate alcuni anni fa, che vi suggeriamo di leggere integralmente su Motorstyle,
Sabato 8 agosto 1982 il sottoscritto era impegnato a Monza, in una giornata flagellata da un diluvio, nei giri di qualifica di una gara di F. Monza. Non eravamo a posto di assetto e nel tentativo di migliorare il mio tempo uscii di strada nella parte finale della Parabolica insabbiandomi. Ma ben presto il mio disappunto fu accantonato quando sentii dai Commissari della disgrazia di Villeneuve: allora fui pervaso da un profondo senso di tristezza, che mi fece passare la grande voglia di correre, tanto da voler quasi mollare tutto e tornare a casa. Ma ovviamente c’era una squadra che aveva lavorato per mettermi in condizioni di correre, perciò non potevo deluderli.
Tullio Abbate, purtroppo scomparso due anni fa, oltre che un grande campione di motonautica fu anche un innovatore del settore. Ma soprattutto era un grande appassionato di motori e di Formula 1. Molti campioni e tecnici del circus negli anni ‘80 sono passati dal suo cantiere e da casa sua. Tra le amicizie più strette quella con Villeneuve, che spesso soggiornava a casa sua e aveva pure un angolo riservato nella sua officina per “smanettare” sul suo motoscafo. Abbate ha conosciuto anche Ferrari, da cui ha avuto i motori 12 cilindri per una barca. E poi come dimenticare le sfide in motoscafo con i campioni della F. 1 organizzate da lui sul Lago di Como, a Cernobbio. Ebbene, nella sua intervista “Una vita a pieni giri” racconta come Villeneuve aveva vissuto, male, lo strappo di Imola ma soprattutto l’incontro con Enzo Ferrari il Lunedì successivo. Di seguito quel brano dell’intervista:
… Quella delle auto è vera passione, com’è nata?
“Durante i giorni del record di Verga ebbi modo di conoscere l’ing. Gioacchino Colombo dell’Alfa Romeo e Giambattista Guidotti, meccanico del reparto corse noto per avere vinto a fianco di Nuvolari la famosa edizione della 1000 Miglia a fari spenti. Con Guidotti, amico di mio papà che peraltro abitava a Bellagio, cominciai a frequentare i gran premi, dove ben presto feci amicizia con tutti i grandi campioni, tecnici e proprietari di team, la maggior parte dei quali vennero poi a visitare il mio cantiere e divennero miei clienti”.
Facciamo dei nomi?
“Stewart, Fittipaldi, Rosberg, Piquet, Prost, Andretti, Ickx che rimane uno dei miei migliori amici, Pironi che poi è diventato anche mio socio in affari, Villeneuve con cui ebbi il legame più profondo e che trascorse diversi periodi a casa mia. E tutti gli italiani, allora numerosi in F. 1: Merzario, che era della zona, Patrese che ha fatto da padrino a uno dei miei figli, Giacomelli. Tra i tecnici e team manager, Ducarouge, Chapman, Dennis, Williams. Fino a cinque anni fa non mi sono perso un GP di Monaco, la Costa Azzurra è un po’ la mia seconda patria per motivi commerciali. In Italia i piloti alloggiavano spesso a Villa D’Este, che non è molto distante da qui, dove io andavo a prenderli con i miei motoscafi”.
Nacquero così le sfide a Villa d’Este con i campioni della F. 1?
“L’idea ci venne in spiaggia a Saint Tropez nell’agosto ’81. In meno di un mese preparai sette barche (sei più una di scorta) e la settimana prima del GP d’Italia ’81 e ’82 disputammo i Trofei Rothmans con i migliori piloti di F. 1 del momento. Allora era molto più semplice il contatto con i piloti e tutti accettavano di buon grado. Stiamo parlando di due mondi completamente diversi rispetto a oggi. Poi erano tutti appassionati, salivano in barca con me e dopo pochi minuti volevano prendere in mano i comandi”.
Domanda dalla risposta praticamente scontata: chi era il più scatenato?
“Certamente Villeneuve, ma Pironi non era da meno. In barca avevano lo stesso spirito competitivo che mettevano con le auto, su strada e in pista”.
Lei che li ha conosciuti bene entrambi aveva intuito che potesse succedere quello che è successo tra loro?
“Erano due persone molto diverse: Gilles era una persona semplice, un meccanico. Io ho ancora a casa la sua cassetta dei ferri. Lui amava lavorare sui motori, che smontava e rimontava completamente. A volte in cantiere era in grado di fare lavori sulle barche meglio dei miei meccanici. Pironi proveniva da una famiglia ricca, era un po’ viziato. Il primo era un amico vero, che si sarebbe buttato nel fuoco, l’altro era molto opportunista. Io sono convinto che Gilles sia morto a Imola. Mi spiego: il mercoledì pomeriggio, prima di partire per Zolder, lo trascorse a casa mia e percepii che c’era qualcosa di strano. Non era lo stesso. Ma ancora di più mi aveva colpito un episodio accaduto il lunedì, quando lo accompagnai a Maranello. Nel pomeriggio si verificò la spaccatura con Ferrari e lui si sentì tradito. Al ritorno in elicottero, in atterraggio fece una manovra insensata, che non era da lui, e per la prima volta me la vidi davvero brutta. Poi sappiamo tutti com’è andata”...