Come amiamo dire, e nel limite del possibile cerchiamo di fare, quando si tratta di automobili e di corse a noi di Motorstyle piace “toccare con mano”. In modo tale da poter raccontare le sensazioni che si provano direttamente al volante, quando si tratta della prova di una vettura, oppure quelle si vivono durante un weekend di gara. Soprattutto quando si tratta di una tipologia di gara per noi nuova, quindi con un format da vivere minuto per minuto cercando di percepire tutti gli aspetti, da quelli tecnici a quelli del pilotaggio.
Perciò, dopo avere partecipato direttamente a svariate tipologie di competizioni, in pista con gare sprint ed endurance e in salita, sia con auto moderne che storiche, fino ad un rally, anche se “anomalo” come quello di Monza, e alla Regolarità, eravamo incuriositi dal time attack, una disciplina in netta crescita negli ultimi anni in Italia, popolata da un parco auto eterogeneo: dalle stradali, più o meno “bombardate”, alle vetture racing, anche in questo caso da Turismo e GT provenienti da vari campionati, quindi rispondenti a regolamenti tecnici ben definiti, agli autentici mostri delle categorie top del time attack, le “Extreme”, che sembrano usciti dai cartoni animati giapponesi.
Grazie alla disponibilità di Andrea Scorrano abbiamo partecipato, con la BMW M3 3.2 Motorstyle Racing, al round di Monza, che concludeva la stagione per le vetture racing. Questo sia per comodità, dato che per noi si tratta della pista di casa, sia perché correre a Monza ha sempre il suo bel perché e andare alla caccia del giro veloce nel Tempio della Velocità aggiunge ancora più adrenalina alla sfida.
Inoltre, data la conoscenza della pista ed il fatto che abbiamo mantenuto le regolazioni sulla vettura identiche all’ultima gara disputata a Monza, non abbiamo ritenuto necessario effettuare la sessione di prove libere in programma nel tardo pomeriggio di sabato, limitando così l’impegno del team alla sola giornata di domenica. E questo, dal nostro punto di vista, è senza dubbio un vantaggio, sia in termini di tempo che non è necessario sottrarre alla propria attività lavorativa o vita privata sia a livello di costi di trasferta e per il personale impegnato. Anche perché nel caso delle vetture racing, che ci riguarda, la prima sessione in pista era programmata in tarda mattinata, quindi il team ha avuto tutto il tempo di arrivare in autodromo la mattina stessa (alle 8.30).
Divertimento in sicurezza
Oltre a richiedere tutte le dotazioni di sicurezza omologate e aggiornate, sia per la vettura sia per l’abbigliamento, mi ha fatto piacere verificare tutta una serie di iniziative atte a garantire il massimo divertimento in altrettanta sicurezza. Ebbene si, lo ammetto, forse sarò di parte ma essendo un amante della guida pura ho apprezzato in modo particolare il fatto di essermi potuto concentrare alla caccia del giro veloce senza, o quasi, il disturbo di altri piloti “disattenti”. Per prima cosa, con le sessioni di prove libere sono state stabilite delle graduatorie di livello dei tempi sul giro in base ai quali sono stati definiti dei gruppi con prestazioni simili vicine tra loro, con i piloti che sono partiti dalla pit lane allineati in base alla sequenza dei tempi ottenuti, evitando così che grosse differenze di prestazioni potessero creare intralcio in pista.
Inoltre, nelle zone di staccata più violente (1^ Variante; Ascari; Curva Parabolica), a circa 150 mt dall’ingresso curva sono state definite, e delimitate con segnalatori gialli, delle “aree di sicurezza” nelle quali era vietato il sorpasso, così da evitare possibili “incomprensioni” o tentativi di sorpasso a rischio, limitando così al minimo, se non eliminandolo, il pericolo di eventuali contatti.
Situazioni, ahimè, in costante aumento soprattutto in certi campionati con vetture a ruote coperte, persino con le autostoriche. Contatti troppo spesso privi di logica e che comportano tutta una serie di conseguenze spiacevoli: a partire, ovviamente, dai danni alle vetture, che non vengono in alcun modo ripagati, oltre a vanificare l’investimento economico e il lavoro di numerose persone per preparare al meglio il weekend di gara che lo “stupido” di turno, per non dire altro, rovina in men che non si dica. Oltre a rovinare il divertimento anche a tutti gli altri, perché con l’utilizzo sempre più frequente di safety car e neutralizzazioni “FCY” in caso di contatti e uscite di pista, spesso le gare, che nel caso delle sprint sono già al minimo sindacale di 25 minuti, si riducono a pochi minuti “reali”. Un modus operandi che se fatico ad accettare con le auto moderne, considero assolutamente imperdonabile con le autostoriche. Allo scopo vorrei approfittare dell’occasione per suggerire a Direttori di gara e Commissari Sportivi della Federazione, nonché all’organizzatore di qualche campionato, di cominciare a sanzionare in modo pesante, con squalifiche per un certo periodo, chi viene riconosciuto palesemente colpevole di azioni scorrette volontarie. Anche a costo di dover rinunciare, momentaneamente, ad una vettura sulla griglia.
Certamente qualcuno potrà obbiettare che così manca un po’ la sfida diretta, ma pur apprezzando il confronto diretto in pista, purché “giocato” in modo sportivo, devo sottolineare che nel time attack l’adrenalina di sicuro non manca. Anzi. Qui di strategia ce n’è poca, bisogna abituarsi a dare subito il massimo curando al meglio ogni metro di pista durante il giro veloce. Insomma, lo ammetto, il Time Attack Italia è stato una bella sorpresa. Un format ricco di spunti positivi: dall’impegno limitato di tempo richiesto, a fronte di un minutaggio appagante passato alla guida nel corso di quattro sessioni (tre da 25’ e una finale da 15’) nella sola giornata di domenica, quindi un buon rapporto costi-divertimento, alla sfida con sé stessi e con gli altri giocata senza spiacevoli “interferenze”, il tutto nella massima sicurezza garantita dalle migliori piste nazionali. E per finire la giornata in bellezza c’è stato pure il momento di aggregazione, con tutti i partecipanti, e personale dei relativi team, che hanno potuto apprezzare prodotti tipici scambiandosi considerazioni e battute sulla giornata trascorsa in pista facendo evaporare l’adrenalina accumulata. Ottima idea!
Non me ne vogliano gli amici delle gare in salita, disciplina certamente affascinante e particolare, ma dopo averle provate direttamente se dovessi fare una scelta non avrei dubbi, perché il weekend di una cronoscalata richiede almeno tre giorni di presenza per poi stare in macchina solo pochi minuti, per quanto intensi. Senza parlare di sicurezza, perché per quanto ben organizzate, e ho constatato direttamente il grande impegno degli organizzatori, gli ostacoli naturali o artificiali che si trovano lungo il percorso, soprattutto in alcuni tratti dove si toccano punte velocistiche elevate, possono causare spiacevoli conseguenze in caso di uscita di strada. Quindi mi sono fatto l’idea che con alcune modifiche e novità, a livello regolamentare e di format, che gli organizzatori del Time Attack Italia stanno valutando di apportare per la prossima stagione, questa disciplina potrebbe diventare ancora più interessante per piloti e squadre che corrono in altre tipologie di gare.
Ne abbiamo parlato con Andrea Scorrano, che ormai da 11 anni organizza la Time Attack Italian Series.
Per prima cosa tracciamo un bilancio della stagione che si è conclusa a Monza, almeno per le racing, mentre le stradali vivranno un altro round a Imola.
È stata una stagione piuttosto difficoltosa, perché abbiamo dovuto adeguare le regole praticamente sul campo avendo ricevuto il regolamento approvato all’ultimo minuto. Soprattutto per quanto riguarda le stradali, che sono un po’ il nostro punto forte anche perché il time attack nasce proprio per queste, che via via si sono sempre più evolute creando anche un notevole indotto. Proprio per questo abbiamo sempre avuto un occhio di riguardo per la sicurezza, spingendo molto per dotare le auto di gabbia di sicurezza. D’altronde possiamo considerare le stradali come l’entry level della disciplina, per poi passare alle racing, per le quali abbiamo avuto un notevole incremento. Quindi siamo molto soddisfatti dei risultati, grazie anche alla collaborazione di autodromi e Direttori di gara, sia in termini numerici sia per le prestazioni, perché le nostre vetture hanno segnato i record su tutte le piste dove siamo stati. Per contro abbiamo quei pochi che primeggiano e molti che inseguono. D’altronde in Italia non sono molti che spendono cifre importanti sulle auto. Perciò sto valutando come intervenire”.
Cioè?
“Siccome vorrei che continuassero a crescere le racing, considerando la situazione italiana, sto pensando a come poter intervenire per ottenere un maggiore equilibrio e quindi ampliare la competizione: magari mantenendo libertà aerodinamica e peso, ma limitando le libertà di intervento sulla preparazione del motore che rappresentano i maggiori costi. Anche se questo si scontrerebbe un po’ con la filosofia del time attack, che prevede una preparazione libera perché rappresenta anche una sorta di banco prova per preparatori e aziende nella sperimentazione di nuovi kit, anche sotto il profilo dell’aerodinamica. Insomma, da appassionato della disciplina, mi piacerebbe che tutti coloro che vengono a fare il time attack preparino le macchine per questa specialità, perciò con aerodinamica molto pronunciata, che ci distingue, e altre modifiche realizzate in modo professionale, però dato che c’è già una bella varietà di macchine mi farebbe piacere se molti più partecipanti potessero ambire a primeggiare con un budget accessibile. A fronte di questo, oltre che delle dotazioni di sicurezza e licenze adeguate, mi pare sia giunto il momento che questa serie ottenga una titolazione nazionale; se non di Campionato Italiano penso almeno ad una Coppa Italia”.
Si parla anche di possibili modifiche al format, addirittura di una mini endurance, è vero?
“Stiamo valutando se mantenere l’attuale format su più eventi di una giornata e classifica finale oppure fare come all’estero dove ci si scontra su un evento singolo che dura più giorni. L’idea potrebbe essere anche quella di fare entrambe le cose, anche per accontentare tanti piloti che vogliono correre sui tracciati nazionali più belli, ed anche all’estero al Red Bull Ring. Ai quali potrebbero aggiungersi, una volta ottenuta l’omologazione, anche quelli di Cremona e Cervesina “lungo”. Per quanto riguarda la mini endurance, non è un format adatto alle auto “pure” da time attack, quelle più estreme per capirci, però potrebbe essere un format molto interessante per tante altre auto racing che provengono da altre discipline: oltre alle Turismo, ovviamente, penso potrebbe essere particolarmente adatto alle GT”.
“L’idea sarebbe quella di un time attack più lungo che agevoli le strategie e il passo più che il tempo sul giro singolo, in modo che ci sia più competizione per le auto racing. Il format potrebbe essere una mini endurance di un’ora, con partenza distanziata tra i piloti, così da limitare la bagarre, e somma totale dei tempi segnati, compresa la sosta ai box obbligatoria, magari con cambio pilota per chi voglia dividersi l’abitacolo della stessa vettura”.
Ci saranno modifiche del format anche per le stradali?
“Per le stradali penso a qualcosa di più ludico, anche per andare incontro alle sollecitazioni della Federazione. Quindi togliere un po’ di competizione alle vetture che, in definitiva, devono rappresentare l’anticamera del racing. D’altronde il time attack nasce come track day, poi si è evoluto con la classifica per dare un incentivo in più a migliorarsi e una gratificazione finale. Il tutto con la sicurezza della pista. Quindi un divertimento controllato. Perciò una classifica può essere mantenuta, magari non prendendo in considerazione il tempo sul giro secco ma delle medie. Ci sono anche altri criteri per definire i migliori. Ho delle idee in merito, frutto anche dell’esperienza maturata in questi 11 anni di attività, il punto è capire come un cambiamento in questo senso sarà recepito da persone che si sono sempre confrontate con il tempo sul giro”.